Giorni così pieni

Guardo la pioggia che scroscia sopra i finestroni e intanto racconto di Verlaine e di Rimbaud e del colpo di rivoltella. Ho caldo; sempre. Anche se l’acqua si rovescia sui vetri e tutti col naso in su che la studiano e pensano agli ombrelli da tirare fuori. Io invece penso ai listelli di legno lunghi due metri, se nella mia macchina c’entreranno sì o no. Poi guido e ho unghie cortissime color corallo: le tamburello sul volante mentre Aretha Franklin canta Don’t play that song for me più un sacco d’altre canzoni che avevo dimenticato. Mi piace parecchio cantarle a bassa voce mentre mezzo spiove mezzo no, il cielo su Bologna un secchio di ferro che rotola di qua e di là, col suo sdung-sdung-sdugudùng. Son giorni così pieni e compressi che finisco per non avere sonno, la sera. Come adesso, che devo ancora lasciar uscire fuori note, passi, facce, mani, sacchetti di chiodi, murene, lampade d’Aladino e cinque sei sette otto. Son giorni in cui vado a scuola con un cambio d’abiti e di scarpe dietro: c’è da provare, c’è da saltare, c’è da mettere in fila i ragazzetti e farli diventare una perfetta macchina da guerra hip-hop, dopo aver lavorato sul complemento d’argomento. Son giorni fatti in un modo che mi fa sorridere spesso. E molto. Trovare per caso della cioccolata fondente ancora da aprire in un sacchetto abbandonato nel bagagliaio della Ka non è l’ultimo dei motivi. Ma anche il sapore della nutella che si scioglie sulla lingua mentre te ne stai ferma in piedi sulla porta dell’aula e li guardi tutti lì seduti per terra, in cerchio, a raccontarsi faccende d’amore. Quel languore scemo all’altezza dello stomaco.  

Giorni così pieniultima modifica: 2011-03-29T01:10:17+02:00da capecchi
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