Dopo un agosto di scarpe chiuse

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Dopo un agosto fresco, di scarpe chiuse, foulard e ombrelli, ecco questo settembre estraneo, questa specie di estate calda e malata. Tutto un soffocare. C’è una brutta luce in giro e la città sembra grigiognola. Ma di certo è colpa mia. Il fatto è che agosto era una casina con le scale davanti al parco, il divano bianco e i pavoni che venivano a trovarci. Holland park avenue che poteva essere un qualunque viale alberato di Roma ma invece camminavi e di lato ti scorrevano Giraffe, Daunt books, Tesco, Paul e Starbucks. Giusto il tempo di entrare, prendere un americano tall e un pain au chocolat. Oppure il bottiglino di latte da mettere in frigo. E il tardo pomeriggio non sai dire la luce che c’era fuori dalla metro, quando uscivi da là sotto, respiravi e ti veniva da sorridere – ogni volta. Pareva d’essere già a casa, giù per la discesa, e c’erano questi cieli spazzati dalle nuvole, il sole che brillava dietro i rami ma con riguardoso rispetto e i muri delle case immacolati. Era bello camminare piano lungo il parco, con le mani piene di sacchetti e una stanchezza buona in tutto il corpo. Stare anche molto in silenzio con in testa la folla di facce tè barche odori hamburger collane leoni piedi biglietti autografi arie d’opera e menu. Non sembrava vacanza; piuttosto un temporaneo sublime intersecarsi della vita con la vita. Chi l’ha detto che vivo là e non qui, dove posso sdraiarmi sull’erba prima di Gerswhin e del tip-tap? Chi l’ha detto che questo giardino con le lucine al numero 26 di Abbotsbury close non è il mio? Ora guardo le buste cadute giù dal buco nella porta sul tappetino d’ingresso e ne trovo di sicuro una con il mio nome sopra.

DSC_4809.JPGInvece poi agosto è finito. Sparita Londra e spariti i tetti di paglia dei Cotswolds, sparite le pecore e la spiaggia di Brighton dai colori assurdi, la cui bellezza non è roba di questo mondo. Settembre eccolo, guardalo. Giorni sfranti, afosi, soffocanti. Sempre sudata nell’aula computer a incrociare quadratini, tutto il quotidiano da ripigliare, la noia di internet, la Nina che sta per iniziare la scuola, l’ansia che piglia alla gola se pensi che tra una settimana, fino ai prossimi tredici quindici vent’anni sarà tutta una caduta a vortice verso la necessarietà. Mancano molto, adesso, i giorni in cui eri sicura che la vita era quella, non ce n’era un’altra; dovevi solo decidere dove mangiare le prossime eggs benedict, in quale parco portare la Nina, quanto lontano tirare il sasso.

Dopo un agosto di scarpe chiuseultima modifica: 2011-09-12T19:08:00+02:00da capecchi
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4 pensieri su “Dopo un agosto di scarpe chiuse

  1. Spesso la mattina, nel dormiveglia, mi capita di rimanere con gli occhi chiusi volutamente e di riacciuffare la sensazione del risveglio sotto il piumone, nella casina, quando ogni giornata sarebbe stata eccezionale – anche con la pioggia a dirotto dentro il museo della scienza. Quanto mi manca anche il mio bottiglino di latte iperpannoso!

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