E la luna è una palla ed il cielo un biliardo

Non lo so che mi piglia, adesso. Stamani a scuola, sarà stata l’una e mezzo, il collega di matematica viene e mi fa leggere un messaggio che gli è arrivato sul cellulare: è morto dalla. Così, tutto minuscolo.  Non sento nulla – dentro. Esco fuori e c’è il sole, i ragazzi si rincorrono, l’aria è profumata di quella cosa indefinita che fa venire a tutti voglia di non tornare in classe, chiacchierare, mettersi occhiali da sole e provare a sentire come si sta con meno vestiti addosso. Una giovinezza sfrontata ci passa davanti e noi non ce la facciamo ad entrarci dentro, fermarla.
Mentre guido verso casa dalla radio esce 4 marzo 1943. Ho i finestrini aperti , canto e mi accorgo che la so tutta. Non so bene perché, però la conosco a memoria. Quando l’ho imparata? Chi me l’ha fatta sentire la prima volta? Bernardo? Era lui? Non lo ricordo; ma so che per qualche motivo era importante anche se ora l’ho dimenticato. Dopo mi metto ad ascoltare canzoni, senza ordine.  Arraffo dove posso, in un tempo lontano che mi viene in mente a sprazzi. La mia mamma che cantava Ma come fanno i marinai e io piccina che mi ci cullavo dentro.  Non capivo niente di quello che voleva dire però c’erano dentro Genova e New York e le zanzare e nessuno che ti chiede come va. La volta che il Maestro al pianoforte cominciò a suonare Caruso e io avevo paura ma la cantai lo stesso, un po’ storta, un po’ stonata, un po’ senza voce; eppure tutti rimasero zitti e si commossero, in quella estate americana che sembra non essere mai esistita ma che io non scorderò più. E Balla balla ballerino che doveva essere la sigla di qualche vecchio programma ma chissà qual era e quando e come mai ora mi pare che fossero sere bellissime quelle in cui la sentivo arrivare dalla televisione. Poi c’era L’anno che verrà che si suonava alle medie. S’imparavano gli accordi alla chitarra oppure si faceva finta di non conoscerli per far suonare quello più grande sulla spiaggia di sera seduti sulle sdraio umide e con la espadrillas ai piedi.  Quelle notti di quando tu eri quella che cantava bene e lei quell’altra che alla fine si alzava e se ne andava abbracciata al chitarrista. C’erano quelle canzoni così, con la luna che è una palla ed il cielo un biliardo, che non sapevi di avere imparato né amato, finché non le risenti ora e ti ritrovi a piangere rannicchiata sul divano. Forse le grosse scarpe e la poca carne, forse l’aria da commedia americana o un tempo che a riascoltarlo t’accorgi finito per sempre. C’era – non c’è più. Sparito. Sicché ecco, adesso mi piglia così. Che mi viene da piangere e cantare vecchie canzoni. Mentre la luna in silenzio ora si avvicina e con un mucchio di stelle cade per strada.

 

E la luna è una palla ed il cielo un biliardoultima modifica: 2012-03-01T18:58:54+01:00da capecchi
Reposta per primo quest’articolo

4 pensieri su “E la luna è una palla ed il cielo un biliardo

  1. Il buon Dalla, insieme a Battisti, era una parte della nostra infanzia e adolescenza. Persino io conosco alcune delle sue canzoni quasi completamente a memoria. Me le ricordo cantate dal babbo e dalla mamma in auto con la musica delle audiocassette di sottofondo.

  2. Un paio di lacrime anche da qui, da una persona che non ci vuole credere.
    Fors’anche perché pensava che Dalla fosse un po’ nomade come lui.
    Corri e ferma quel treno, fallo tornare indietro…

  3. Volevo scrivere qualcosa su di lui, da qualche parte. Ma poi ho messo ‘Corso Buenos Aires’ e ho incominciato a ridere..

I commenti sono chiusi.