Prom

Questa è la terza settimana di giugno; e piove a frustate sopra il terrazzo e le prossime partenze. Attraverso i corridoi della scuola come non fossero miei e faccio finta di non avere da fare valigie con dentro il mondo di due mesi. Faccio finta di non dover partire fra dieci giorni: America, chi, quando, io? E più faccio finta e più invece è vero.

Poi c’è questa cosa dello swing. E’ un po’ come quando avevo iniziato a suonare il sax. Un pensiero che pian piano ma determinato si fa totalizzante. E dall’urgenza di ascoltare tutti i concerti jazz e comprare il sassofono color argento e uscire solo con chi capisse Bird o la differenza fra il suono rotolante di Rollins e quello mistico di Coltrane si è passati adesso al bisogno fisico di ballare, alla necessità di avere le scarpe col tacco a rocchetto perfetto e, naturalmente, la giusta gonna a ruota da far girare; il giusto leader dentro il cui braccio scivolare.

A ogni modo tra poco si va via. Ho preparato nulla, quasi, per la California. Sono ancora testa, tacchi e mani qui. Sicché ieri in quella sala gonfia di caldo e lampadari pareva d’essere bloccati in qualche disastroso prom di fine d’anno: i fiori sul polso, la limousine affittata che aspetta fuori, l’amica che piange nel bagno e l’orchestra che suona senza capire che nel frattempo sulla pista si consumano addii e meravigliose catastrofi. Sicché ieri me ne stavo lì, guardavo tutto un po’ più del solito, covavo un indefinibile umore che il bicchiere di plastica col ghiaccio dentro nascondeva a stento. Sfilavano là in mezzo piccoli cani dentro le borse, cappelli di paglia e ballerini di Shim-Sham alle prime armi ma di grande cuore. A guardar tutto da fuori, le vetrate illuminate dalle luci gialle sembravano chiuder dentro un posto che non esiste più, se solo ne sgusci fuori. O, almeno, un posto che non esiste più per te; una specie di Castello d’Atlante che ti imbroglia se ci sei dentro. Ma fuori: puf. Sicché mentre te ne torni a casa guardi i tuoi piedi nelle scarpe, stai zitta e pensi che tutto corre a precipizio verso la fine di giugno. E magari se lasciavi la macchina a casa adesso potevi camminare di più e allungare così quella coda del mese che sta per cadere giù. Bastava andare ancora un altro po’, in silenzio, occhi sul marciapiede; prendere il tempo e tirarlo come un elastico.

Promultima modifica: 2015-06-17T12:59:59+02:00da capecchi
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