L’Arno di notte

L’Arno di notte scorre lucido e silenzioso, luccicante di bagliori. Cammini sopra un ponte e annusi la notte, le sue voci; i passi che risuonano sulle pietre antiche. C’è una specie di sospensione del tempo che ci prende tutti per incantamento. Quante foto avremo fatto all’Arno di notte? Eppure non bastano mai. E nessuna veramente serve. Ma comunque le scattiamo, mosse, nel buio, tutte luminescenti di qualcosa che forse non sono i lampioni del Lungarno né le finestre di Ponte Vecchio. Forse siamo noi, non so. Certo qualcosa ci piglia mentre lo attraversiamo e mangiamo o non mangiamo il gelato, aspettiamo d’incontrarci oppure di salutarci. Ci risuonano ancora nelle orecchie le note distorte di Money for nothing lanciata a tutto volume nell’osteria e, insieme, quell’orchestrina jazz in mezzo alla piazza: avremmo potuto anche ballare, a ripensarci, accennare qualche passo swing che ci avrebbe reso ridicoli. Ma invece non lo abbiamo fatto. E ci siamo lasciati trasportare via dalle scie di Santo Spirito, dal profilo bianco della chiesa che sembra di cartone, dalle pizze mangiate sui gradini e dall’ennesimo abbraccio dato per conforto; o per senso di mancanza preventiva.

Camminare per Firenze stupisce ogni volta. Ma di notte la città supera ogni previsione di meraviglia. La strada è sempre come umida di qualcosa, i fiati si fermano a mezz’aria in attesa interrogativa. Tutti vogliono vedere di più, andare di più, dire di più. Ma invece ci si muove a strappi, così come a strappi si parla; felici di quel poco di momentanea vicinanza che un attimo dopo la carrozza col cavallo bianco ha spezzato, spingendoti a bordo strada, muta. I vicoli stretti, i marciapiedi inesistenti e i tanti tavolini all’aperto sono luoghi mai visti prima: un posto che pare inesplorato, da tagliare in triangoli e poi ridisegnare in cerchi perfetti. Forse è la città incantata di Miyazaki e ce ne accorgeremo troppo tardi, quando ne saremo usciti – gli spiriti alle nostre spalle. Intanto adesso siamo là dentro invisibili a tutti se non a noi. Abbiamo prove da superare e intrugli con la mela dentro da bere. Siamo più Sen o Chihiro? Ridiventeremo uno dopo essere stati divisi e sparsi lungo il fiume? Non si sa, non c’importa. Basta che andiamo, senza perderci.

La notte intanto diventa sempre più corta. Sfilano all’indietro mercati vuoti, stazioni deserte, binari da attraversare. Che è tempo di tornare lo sappiamo bene, non importa stare lì a dirselo. Basta mettere un piede sull’autobus e la città è già scomparsa. Una fitta quasi impercettibile ma puntuta come una scheggia s’incastra nello sterno. Giri gli occhi un attimo, per sbaglio; ti volti; non esiste più nulla: l’Arno, le luci, i marciapiedi piccoli, il ragazzo scimmia che usciva dal locale cantando a squarciagola That’s the way you do it. Tutto sparito. Ma forse un altro battito di ciglia sarà abbastanza per ritrovarsi ancora lì, dentro una scatola col lampadario di cristallo, davanti a bicchieri pieni, sotto campanili colorati d’arancio nella luce perfetta di quel momento prima che inizi la notte.

L’Arno di notteultima modifica: 2017-10-23T16:12:26+02:00da capecchi
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