Di quella giovinezza

Mi mancava molto quel posto. Prendere la macchina, guidare veloce e passare in mezzo a colline e paesi. Odore di campagna. Erba e insegne di vecchie osterie. Attraversare la piazza a piedi e vederne uno, poi due, poi tre, poi quattro, poi cinque, poi sei. Tutti alti e tutti belli. Di quelle bellezze fresche, a tratti scomposte, vere e limpide della giovinezza. Ma come hanno fatto a diventare così e ad avere quegli occhi che hanno? Sì, è vero che io già li vedevo brillare e se anche non intravedevo i muscoli del braccio né le forme rotonde del corpo già intuivo là sotto pulsare anime e intelligenze. Vibravano già allora, figuriamoci adesso. E io m’accorgo che parlo poco. Perché finché son dietro la cattedra sono protetta, ho dei numeri e uno scudo. Ma al di là, che gli dico, che gli spiego? Son loro che devono dire e spiegare a me. Son loro che hanno cose da mostrarmi. E io lascio che me le mostrino, che dicano, che sorridano, che mi guardino un po’ sì un po’ no. C’è chi mi dà del tu. C’è chi è un perfetto gentiluomo d’altri tempi e non dice mai una parolaccia fino alla fine. Ci son le bimbe così belle e luminose nei loro lucidalabbra e ombretti chiari. Mi snocciolano i loro amori. Mi confessano debiti ed errori. Io sto lì, me li cullo di sguardi, li ritrovo dopo tre anni e pure è come se fossimo ancora al punto in cui strappavo le porte di carta con le palline a Gian. Il tempo è fermo. Il tempo va velocissimo. Tutto ruota e noi in mezzo, là, immobili o piuttosto vorticosamente trasportati via. Ma quando senti la forza dei loro abbracci, quando vedi il buono e il lucido degli occhi, allora lo sai, lo senti forte, nello stomaco: non sono più alunni, sono persone che non andranno mai più via. Da te, dalla tua vita, dal tuo pensiero.
Così poi sali in macchina e prima di partire stai un po’ ferma nel buio, respiri la notte. Aspetti che il vortice si fermi e che i battiti riprendano a scorrere regolari, lenti, fluidi. Aspetti che fluisca l’estate intorno. Aspetti. Pensi che ne vuoi ancora di quella giovinezza e di canzoni scritte apposta e di progetti di partenze in posti lontanissimi dai nomi impronunciabili. Aspetti. Poi metti in moto. E viaggi rapida, mezza felice e mezza triste. In un giugno incerto come un colore steso male su un vecchio foglio da disegno.

Di quella giovinezzaultima modifica: 2008-06-21T23:20:00+02:00da capecchi
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6 pensieri su “Di quella giovinezza

  1. Ne vuoi ancora, dici. Me lo disse uno dei miei fidanzati paralleli – ora che non ci sono più, tutto ha un senso, avevo ragione io – venendomi ad ascoltare a Pistoia suonare in una pizzeria da sbarco. Mi disse ” ne voglio ancora”. Mi venne da ridere e gli risi in faccia, perchè in Toscana “ne voglio ancora” ha un soggetto nascosto che ha un solo significato. Lui non lo poteva sapere. Ma io, che leggo queste righe che hai scritto e mi ci infervoro, ne vorrei ancora? Che senso ha per me quel “ne”? Vedi tu sei una brava scrittrice, che fa di un’emozione sua un consuntivo esistenziale per altri. Ma io non sono sicura di volerti dare ragione – non nella forma, eh. Chi ero, non me lo ricordo nemmeno. Cosa provavo, non è nemmeno il pallido riflesso di oggi. Sai cosa mi manca Gaia? La libertà (di non sapere cosa farmene di me). Su quella potrei scrivere dieci encicolpedie e rimanere lo stesso a bocca asciutta. Ma insomma, cazzo indiano (direbbe nonna Elena), ma mica c’avevo un patentino, o un manuale, o almeno una leva di emergenza.. Ma che differenza c’è fra me e quei bambini con gli occhi espressivi, o fra me e quelle bambine con il lucidalabbra.. ma qual è la differenza vera? Nessuna. Infatti non solo non mi manca. Ma mi dà l’ansia, il passato. Mi tocca affrontarlo dalla mattina alla sera…

  2. Mammamia quanto mi piace quello che scrivi e come lo scrivi! …E quanta bella musica: mi ci perdo!
    Era da tempo che non passavo di quà ma sei sempre tra i miei preferiti.

  3. Quanto ti capisco. Pensare di mandarli via, di non rivederli mi fa male. Stanotte li ho sognati. So di aver dato tanto, so che rimarrà loro più di qualcosa, so e sento la sincerità degli abbracci, delle chiamate, degli sms, ma pensare che non li rivedrò a settembre dopo tre anni – dico, tre anni – è davvero triste. Mi consolo con il pensiero che a settembre non vedrò altre patetiche figure. Oltretutto mi sarebbero rimaste solo le patetiche figure.

  4. Oddio prof.. Uh, mi sto riprendendo, o meglio, sto cercando!
    Le commento solo ora perchè nel week end sono stata al mare, ma sapevo, ero sicura al 100% che avrebbe scritto di noi..
    Che felicità, che contentezza, che piacere leggere tutto questo.. Questo, si, che è il bene che ci vuole e che sempre ci vorrà!

    Mi ha fatto davvero piacere rivederla e aggiornarla, Ih Ih.. E il piacere grande è stato ripassare una serata insieme, come qualche tempo fa.

    Un bacione prof!

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