Budella

Farò come gli idioti che alzano la mano per porre le domande agli autori (o per intervenire in qualsiasi altro contesto cultural-social-aggregativo), ossia: premetto una cosa.
Premetto una cosa: io di Chuck Palahniuk non ho ancora letto nulla. Quindi, ben inteso, quello che dirò prescinde assolutamente dalla sua opera, che potrebbe essere una patacca o il capolavoro letterario del secolo.

Detto questo, Palahniuk a me è piaciuto. Lui, intendo, per quello che ha lasciato trasparire di sé. Un volto e un corpo di quieto americano – con degli occhi pazzescamente blu che nella fotografia sul giornale non si vedevano. Un quieto americano con spalle grosse ma all’ingiù e un sorriso, fossette laterali comprese, davvero da buono – ma con un guizzo, un guizzo di non so che, a rimbalzare dagli occhi alla bocca agli occhi. Tanto è vero che invece qualcuno aveva scritto qui che Palahniuk ha una faccia “da bandito”. Insomma, questo quarantenne dal profilo apparentemente dimesso ma nel contempo accattivante assai, e di cui al momento ignoravo l’incredibile storia familiare, fa leggere a una specie di attore un suo racconto intitolato Guts e le due cose – il suo corpo fisico, lì, e le sue parole scritte, sulla pagina, non collimano. Questo mi piace. Lui ascolta il tipo che legge, ascolta la gente ridere o contorcersi sulla sedia, aspetta gli svenimenti (presunti e non necessari) per il contenuto del racconto; e aspetta. Aspetta che finiscano le parole e aspetta la presentazione della Pivano, seduta a fianco, con tre meravigliosi ed enormi anelli sulle mani, le quali mani si vedono bene perché spesso le usa per passarsele divertita e sorpresa sulla faccia, appoggiarsele alla testa, sottolineare la surreale truculenta follia di ciò che Palahniuk ha scritto e che tutti stanno testé ascoltando.
Palahniuk intanto aspetta. Aspetta le domande degli idioti di cui sopra. Massa di decerebrati che inizia: “Ciao, sono Claudio e studio cinema”; che dice: “Stefano Benni ha detto di te…”; che interroga: “Quali aspetti dell’America sono quelli di cui vai fiero e invece di cui sei più vergognoso? A livello non letterario ma culturale…” (cito letteralmente). Ecco, quello che ho amato di Palahniuk è il suo essere rimasto più volte, a lungo, senza parole di fronte all’idiozia. Ma davvero, zitto e pensieroso, con un vago sorriso e quel guizzo di prima negli occhi, a cercare da qualche parte una risposta sensata a domande insensate. Domande di cui tutti volevano solo una risposta, quella che avevano in testa loro. Il fastidio che provavo era dovuto alle intenzioni, palpabili, di molti degli astanti. Che volevano sentirsi dire qualcosa tipo: Abbasso la guerra e la cattiveria nel mondo, buuu la violenza buuu, amo tutti voi, evviva la pace, evviva l’amore, vogliatevi bene, amen”. Questo s’aspettava la gente. E stavano tutti lì, pronti con le loro manine a far scattare l’applauso. Mentre lui pensava e scuoteva la testa e sorrideva con le fossette e alla fine riusciva a dire: “Beh, sono orgoglioso della mia famiglia, che però non è l’America, e mi dispiace che tutto venga bruciato così in fretta, che tutto si consumi, che tante risorse si disperdano quando invece si potrebbe fare di più per la musica e la poesia”. Questo ha detto. E finalmente i beoti hanno potuto muovere a tempo le manine – che erano lì in bilico da interminabili minuti – e hanno sputacchiato un applauso, ma scriato scriato; perché del resto lui, alla domanda posta in quell’italiano da arresto, non aveva risposto proprio quello che s’aspettavano. Non c’è stato un trionfo di mani sciaffanti. Se solo avesse detto ciò che tutti sbavavano da un po’, con la loro mascella ciondolante, sarebbe cascata giù la galleria a forza di applausi. Invece no. L’applauso allora è stato un po’ striminzitello; ed è stato come uno starnuto venuto male ma che hai fatto, perché, del resto, il naso ti pizzicava tanto.
A me, in questo (in)quieto americano, ha colpito l’essere svincolato da macro-categorie mentali. Ha colpito l’assoluta differenza con certuni di noi, che non riescono a parlare se non schermati dietro i ridicoli paramenti del Così è giusto/Così è sbagliato. Che tristezza; e che pochezza. E che sospiro di sollievo trovarsi di fronte uno che pensa ad altro perché a ben altro ha da pensare.
Già. Lì, stasera, tutti volevano qualcosa da Palahniuk, che tuttavia Palahniuk non ha dato. Perché Palahniuk invece ha taciuto. A lungo, troppo a lungo per un uditorio accaldato e numeroso che era lì apposta ad aspettarlo rispondere. Solo per questo, concludo, si è guadagnato la mia simpatia e la mia ammirazione – qualsiasi cosa abbia egli scritto.
(E anche un po’ per quegli occhi blu)

Budellaultima modifica: 2003-10-01T00:00:00+02:00da capecchi
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23 pensieri su “Budella

  1. Forse domani alla presentazione di Milano ci vado. Mai letto Palahniuk, ma c’è chi mi dice che Fight Club è bello assai. Ho sfogliato qualche pagina di Ninna Nanna in libreria, ma non è che mi abbia colpito molto. Mah. [Ja]

  2. Mi sa che ci andrò, se trovo il tempo (dovrebbe essere alle 19). Eh, duro il mestiere di scrittore oggi, con lettori-fan che non vedono l’ora di prodursi in cori da stadio. [Ja]

  3. Dovevi vedere la scena alla firma delle copie del libro da parte dell’autore. E’ finita che io, naturalmente, ho dovuto redarguire la folla di bisonti che si accalcava inferocita e peraltro – particolare sgradevole – puzzolente intorno al banchetto. (Gaia)

  4. il film di bertolucci non è il massimo. ma in un paio di dialoghi esemplifica perfettamente quello che dici. c’è un modo molto vecchio ed europeo di ragionare con occhiali kantiani, rossi o blu. invece loro spesso di tutta questa sovrastruttura fanno naturalmente a meno. del resto sono convinta che di frequente dietro i dischi antibush e le invettive di qualche americano in gita a roma ci sia solo, rispettivamente , il marketing delle major e quello di veltroni. (robba)

  5. Frequento da poco le tue stanze e non conosco Palahniuk. Vedo però che gli occhi blu e l’accertamento dello sguardo ricorrono. Preferisco gli occhi verdi, ma capita anche a me di voler controllare lo sguardo, spesso prima di leggere un autore. (Gaia M.)

  6. Cercavo di riassumere i meriti di Palahniuk ad un amico incuriosito dalla mia lettura di “Survivor”. Gli aggettivi scorrevano ma lui non sembrava interessato. Ho deciso allora di giocare sporco: “Indiscutibilm ente antiamericano” gli ho assicurato. E lui si è iscritto al club di slancio. Sta leggendo “Soffocare”. (qwerty)

  7. Ecco, Qwerty, era esattamente quello che intendevo: trovare bello / grande / importante / intelligente qualcuno in base al suo antiamericanism o. Io lo trovo di una pochezza davvero desolante. Mi scuserai, ma il tuo amico non ne esce affatto bene. E poi, da quel che ho capito ieri, per Palahniuk la politica dev’essere universo davvero a parte. Mi pare dissacrare piuttosto l’uomo in sè che l’America in quanto tale. Ma leggerò, e poi ne saprò di più anch’io. (Gaia)

  8. Gaia, volevo invitarti a partecipare al Blog Aggregator, ma non trovo il tuo indirizzo email. Se vuoi, contattami tu ( g.granieri@book cafe.net )

  9. Noam Chomsky, Michael Moore e Chuck Palahniuck sono autori che criticano la politica americana, ma che amano profondamente il loro paese. Il che dimostra il preoccupante vuoto culturale di chi fa queste superficiali affermazioni sull’antiameri canismo. Si puo’ non amare l’America, si puo’ non amare incondizionatam ente il proprio paese (l’Italia), ma se non si ama qualcosa, e si odia soltanto, cosa puo’ muovere una persona? Tutto tessera e distintivo. E mi si perdoni la citazione da film, che più tardi devo andare a vedere Palahniuk. PS. Gaia, Luca Sofri che è stato a pranzo con Chuck afferma che a quella di Bologna ci son stati svenimenti: confermi, o è stata una conseguenza (peraltro involontaria) dell’aver “redaguito i bisonti”? [Ja]

  10. Caro Ja, confermo gli svenimenti. Pare siano stati due/tre. Non so se siano proprio cascati in terra o cosa, perchè io ero seduta in prima fila e loro erano in fondo. Comunque, quando l’autore ha chiesto se qualcuno era stato male, in tre hanno alzato la mano. Oltre al testo di CP, non sottovaluterei, però, la ressa e il caldo. Per il resto: la Faranda, non che sia la mia intellettuale di riferimento, ha fatto però una bella e intensa presentazione. La prima cosa che ha detto di CP è stata: “Il filo conduttore dei suoi testi è una coerente anarchia, dove per anarchia non intendo niente di politico. Anzi, dirò di più: credo che Palahniuk non sappia nemmeno il nome del suo presidente”. Chuck era lì – traduttore che gli sussurrava nell’orecchio; e ha sorriso. (Gaia)

  11. A me ‘sto Palahniuk, del quale non avevo mai letto una riga, fino ad oggi stava un po’ sul gozzo, perchè mi sembrava l’autore di culto di gente radical chic da ritiene volgare venerare gli autori di culto troppo popolari e che nello stesso tempo ha bisogno di guru come dell’aria che respira, per cui si inventa degli scrittori di culto limitato a ‘quelli che sanno’. Insomma, la colpa non era del Palahniuk, ma dei suoi lettori, o soi-disant tali.
    Il tuo racconto me l’ha fatto rivalutare molto, e a questo punto c’è anche il rischio che prima o poi provi a leggere qualcosa.
    Penso che il buon Palahniuk ti debba dei ringraziamenti.

    P.S. Ma da dove diavolo esce questo cognome ? E’ di origini esquimesi ?

  12. scusa Gaia, ma a questo punto la curiosità è forte: che diavolo ha letto sto Chuck di così forte da provocare tutti quegli svenimenti???

  13. Sono stato alla presentazione a Milano, presto renderò conto della cosa nel mio blog. Per la cronaca, a Milano 4 svenimenti (ad un passo dal record: 5 a Berkeley, CA)

  14. Mi dispiace Gaia ma non ho un blog. Per ora mi limito a spizzicare in quelli altrui, tra cui il tuo.Gironzolo in base agli interessi e, perchè no, in base all’omonimia.C iao

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