Le stanze di Gaia

Spigolature / 4. Della Oggero, di bestie ferite e di strani scambi

Giovedì, tempo di spigolar. Ma, non so perché, mi sento un po’ strana. Quasi la spigolatura non fosse mia. Vabbe’. Sarà mica di Nicola-GiallodiVino? Eh, sì, dev’essere sua. Chissà quando l’ha scritta, poi – che è sempre in giro per ristoranti.

A Torino, se uno ci passa e si ferma, non può fare a meno di andare a cena alle Tre Galline o all’Agrifoglio. Posti che se vai da solo e chiedi una bottiglia di Barbera, quella giusta, non una mezza, ma un’intera, non ti guardano male. Anzi. Ti cuciono addosso un giudizio diverso, positivo. E te lo senti sulla pelle.
Mentre leggi Una piccola bestia ferita di Margherita Oggero, pensi che siano proprio quelli i posti che la profia, la professoressa protagonista dei suoi romanzi, frequenti la sera, in compagnia di Renzo, il marito, Gaetano, il commissario della omicidi, e di quell’accolita di amici e colleghi con i quali va a gozzovigliare al sabato, se non ha a che fare con morti ammazzati o sequestri. Adunate con cene luculliane: “quattro agnolotti del plin e quattro panisse, come secondo stinco arrosto e flan di porri per tutti”.
Sarà pure una profia con l’aria vecchiotta, la Margherita. Una che ha annusato l’intonaco delle aule, e l’odore di gessetto bianco misto a cancellino da una vita, una che è parte integrante dell’arredamento scolastico insieme alle carte geografiche di una volta, quelle con Abruzzi e Molise, regione unica. Sarà pure tutto questo, e comunque solo fino alla foto che sta in quarta di copertina. Perchè poi quando comincia a scrivere, il registro cambia. E lei scivola via leggera (à la Calvino), pungente, “modernissima” e con un’attenzione ai dettagli e alla psicologia dei personaggi – quindi al modo di vivere e sentire di uomini e donne – che della nonnetta che fa ripetizioni di italiano, per arrotondare la magra pensione, non ha nulla. La sua professoressa prende profili differenti, sempre vivi, a seconda che la Oggero ce la mostri in prima o in terza persona. “Lei racconta e racconta bene. Forse ha scelto di fare la profia di lettere, proprio per poter raccontare, per trascinare altri nella rete delle sue parole, per vederli e sentirli attenti mentre aspettano di conoscere quale sia la fine”. La Oggero lo dice della protagonista ma potrebbe dirlo di sè stessa. Sosteneva Luigi Pirandello che “la vita o la si vive o la si scrive”. Una professoressa, piemontese o meno, ha magazzini interi di “ispirazioni” nel caso in cui decidesse di abbandonare la vita vissuta per quella da scrivere. E non storie e vicende da tagliuzzare, dopo averle osservate da sopra la pedana, seduti alla cattedra, ma quell’attitudine e abitudine allo scandaglio dell’animo umano (sia pure solo quello giovane) che i bravi professori non possono non fare. E che li mette sullo stesso piano di altri grandi conoscitori di anime: carabinieri, preti e puttane che ascoltano, osservano, restano fermi e vedono passare, sotto al naso, il mondo.

La storia è semplice: un sequestro di persona e un omicidio. Bisogna scoprire chi è stato. La rapita, giovanissima, viziata e bella vicina di casa, Karim Levrone. “Un fisico minuto e agile da ballerina di hip-hop, una testa ben scolpita, bella pelle, bel viso”. Le quinte sono i quartieri di Torino, le aule di una scuola, ma soprattutto casa della professoressa. Un commissariato degli affetti, dove il marito Renzo fa la figura del brigadiere taciturno, geloso e comprensivo e la figlia, Livietta, quello della giovane agente, rompiscatole. Tra i libri, le poesie di Emily Dickinson e un numero imprecisato di caffè offerti ai parenti della vittima, il fratello Christian, in primis, si viene sciogliendo il nodo del mistero. “Alla quotidiana ineliminabile routine di pura sopravvivenza si è aggiunto il coinvolgimento nel giallo Karin-Gigi e i relativi strascichi. Bastava starne fuori, non lasciarsi tirare per la manica, al massimo scambiare qualche ovvietà con chi proprio vuole parlarne. Ma tutto è cominciato con le ripetizioni a Christian e, prima ancora, col suo odore di infelicità”.

La Oggero è ancora in forma, forse non come nel primo romanzo, (La collega tatuata, e il primo amore non si scorda), ma riesce ancora a tenere incollato il lettore alle pagine. E senza bisogno di un colpo di scena dopo l’altro. Il mestiere della scrittura è forse il segreto più importante. Nelle ultime pagine – proprio a voler essere pignoli – il romanzo subisce un’accelerazione improvvisa, forse eccessiva. Ma insomma fa niente.

(di GiallodiVino)

Spigolature / 4. Della Oggero, di bestie ferite e di strani scambiultima modifica: 2003-08-28T01:25:00+02:00da
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