Le stanze di Gaia

Polemicuccia con l’insegnante frustrato che voleva diventare scrittore di successo

Vorrei, davvero vorrei che d’insegnanti così in circolazione non ce ne fossero. Ma neanche uno. Di quelli che m’ingolfano la graduatoria e poi se li chiamano accettano e stanno tutto l’anno a dire: “Mah, non so, non è il mio lavoro, vorrei fare qualcosa di diverso, non ci sono tagliato, perché ho accettato, ho 30 anni e vorrei essere altro da questo”. Gli insegnanti così, è ovvio, rovinano la scuola e i ragazzi. Perché, anche ammesso che quando entrano in classe riescano a fingere ben benino, i ragazzi se ne accorgono subito: i ragazzi hanno un fiuto particolare per cogliere, con un semplice e distratto dilatarsi della narice, il muffito odore della frustrazione. Son fatti così, i ragazzi. E non c’è niente, davvero niente al mondo di più demotivante per un ragazzetto che già di per sé non ha voglia di fare un’emerita cippa, di un insegnante frustrato con aspirazioni d’altro.
Ecco: insegnare per me è la cosa più bella che c’è. Io entro in classe e mi sento a casa. Quando mi chiamano “prof” mi s’allarga il cuore – ma io sono una sentimentale, che volete farci, e per me lo sguardo di un ragazzetto interessato, o la sua offerta di un pezzo di panino al salame, mi commuove sempre. Sento di essere davvero nel mio posto nel mondo solo quando spiego Meriggiare pallido e assorto a chi non vuol capire – o magari invece quando porto una banda di sciagurati in gita.
Allora, siccome ricordo che questo signore più d’una volta nel corso dell’anno passato (e mi scuserete se non ritrovo i link a parte l’ultimo che già ho citato) ha espresso la sua insoddisfazione per essere in una classe e in una scuola – e non credo che sia solo perché insegnava ai sordomuti / alghe (come allegoricamente li chiama lui nella sua operetta morale fra Michael e il funzionario del Dipartimento Affari Spaziali) – allora, dunque, prenderò questo signore come emblema di una delle figure più detestabili e tristanzuole della classe insegnante.
E dico: ma andate a fare i giornalisti di successo, se vi riesce. I giornalisti gli scrittori gli sceneggiatori gli attori i registi i poeti i romanzieri di tendenza e quant’altro. Andate, andate. Invece di dire che “sì, no, devo aver la forza di rifiutare, pensarci, non affrettare la scelta, pensarci ancora”. Ma per favore. Più rispetto per gli alunni che spero non avrete mai più. E più rispetto per voi stessi. E non dite: accetto perché ho bisogno di lavorare. No, davvero, non scherziamo: non si accetta di insegnare perché si ha bisogno di uno stipendio. Per quello si fa altro: un qualsiasi differente lavoro, per esempio, che non coinvolga ragazzini da tirar su. Davvero, sentite bene, fate un piacere a tutti: al telefono, stavolta, non rispondete nemmeno.

Per cui, Michael, ricorda: nei prossimi giorni riceverai una, due, dieci telefonate. Ti chiederanno un sì. Non dirlo subito. Conta fino a dieci. Fingi che sia il tuo matrimonio – dopo tutto è qualcosa del genere. Pensaci, stavolta. Non vuoi prenderti una vacanza da te stesso: vuoi mettere su un progetto decente, per invecchiare in maniera dignitosa, perché di questo si tratta, in questo consiste la vita. Pensaci sul serio. Non cercare di trasformarti all’improvviso in qualcuno che non sei. Non è quella la strada. Credimi.”

(da Michael e il funzionario del Dipartimento Affari Spaziali. Dialoghetto morale di Leonardo)

Polemicuccia con l’insegnante frustrato che voleva diventare scrittore di successoultima modifica: 2003-09-02T12:25:00+02:00da
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