Le stanze di Gaia

Spigolature / 7. Le budella di Palahniuk – ripresa

Avvertenza numero 1
Occhio, perché si parla per esteso di racconto inedito del signor Palahniuk. Chi dunque aspettasse di leggerselo pubblicato e non volesse sciuparsi la sorpresa, non si addentri nel seguente scritto, dove si spiattella nient’altro che un riassunto bello e buono di Guts. Ma chi fosse incuriosito dal motivo degli svenimenti (veri o presunti) verificatisi agli incontri con l’autore i giorni 30 settembre e 1 ottobre 2003 alla Feltrinelli di Bologna e di Milano quando tale racconto è stato letto ai presenti, allora vada pure avanti.

Avvertenza numero 2
Se passassero di qui: i miei genitori, i miei alunni, i genitori dei miei alunni, la Preside e tutte le signorine timorate di Dio, ecco, sarebbe meglio che andassero da qualche altra parte; non so: a guardare, per esempio, le farfalle che volteggiano nei prati, o le nuvole bianche e leggere che punteggiano il cielo autunnale.

Per tutti gli altri, ebbene, ehm
Il racconto è scritto in prima persona da un ragazzetto quattordicenne. Parte subito alla grande, soffermandosi con dovizia di dettagli sulle pratiche masturbatorie di un coetaneo amico, amante particolare di sollecitazioni anali, ricercate, nella fattispecie, in carote doverosamente cesellate e spennellate di vasellina in punta, perché possano assumere il necessario coefficiente di stondatura e sguiscevolezza. L’esplorazione perineale, iniziata con quel tanto di dolore che forse poteva poi in effetti essere superabile e sfociare in piacere, viene brutalmente interrotta dal richiamo di mammà: “E’ pronta la cenaaa!”. Il ragazzo avvolge così la nauseante carota in un cartoccio di vestiti, la nasconde sotto il letto e per il resto del suoi allegri natali in famiglia si chiede turbato che fine abbia fatto lo strano involtino, sparito per sempre e mai più ritrovato – sepolto forse nella coscienza bucherellata della madre.
Poi c’è un secondo amico. Egli, altresì amante di pratiche erotiche onanistiche, viene a conoscenza di luminose e lisce asticelle in metallo, ritenute dagli arabi insuperabili. Insuperabili se inserite nel condotto uretrale prima di prodigarsi in manualità private e specialissime. Questo secondo amico allora non si dà pace: vuole verificare. Pensa e ripensa a una possibile sostituzione delle asticelle con qualcos’altro. Penne, matite, carote di cui sopra, frutta e verdura varia. Ma niente, come è facile capire, fa al suo scabroso caso. Poi vede una candela; e pensa alla cera; e capisce che l’asticella può modellarsela da sé; sottile sottile sottile e lunga quanto basta. Un genio. Riscalda, scioglie, impasta, modella. Ottiene un perfetto strumento di tortura e delizia che già pregusta scendere dentro il suo pene. Infatti poi è là dentro che lo spinge, con un dolore fino e curioso – come in attesa. L’espletamento dell’agognata sega pluriquotidiana rivela ben presto tutta l’infinita sapienza araba. Eppure. Eppure qualcosa va storto; o meglio, qualcosa sparisce. Il ragazzo si accorge in dirittura d’arrivo che l’asticella non c’è: sparita, scomparsa, inesistente. Mah, chissà, pazienza. Ma la sera stessa il ragazzo sta male: la pancia gli duole e si sente strano. Beh, tempo poco è all’ospedale: la cera è penetrata dall’uretra nella vescica, dove ha creato una specie di palla che assorbe sali minerali e insomma, via, tutta l’urina possibile; e lì dentro vive, s’ingrandisce, ammorba e avvelena quel che c’è da avvelenare, mangia e incrosta e sgretola pareti interne; allora all’ospedale si fa quel che si può, che non è poi granché. Si prova a operare, si salva il ragazzo, ma alfine egli resta un menomato con lo stomaco inutile, che può ingurgitare quasi nulla, per tutta la sua vita. E tutto questo non sarebbe nemmeno così terribile, se egli non avesse dovuto raccontare l’imbarazzante dinamica del fatto ai poveri raccapricciati genitori.
Poi c’è il ragazzo numero tre, che è il narratore stesso. Lui sì che è un tipo davvero eccezionale, eh. Degno amico di degni compari. Lui infatti fa il “cacciatore di perle” nella piscina di casa sua. Che poi vorrebbe dire titillarselo, menarselo e isomma quelle cose lì, ma sott’acqua. Anzi esplodere di sperma seduto sul fondo della piscina. Da dove vedere le sue piccole, sfilettate, bianche perle vagare libere nell’acqua. Da dove acchiapparle, quelle scivolose perle, andando appunto a caccia qua e là, per raccoglierle tutte e non rischiar così d’ingravidare per sbaglio e orrore la sorellina minore, gentile bagnante della medesima piscina. Ma fin qui tutto è bello, normale e rilucente di perline bianche e natanti – nulla di abnorme, dopo tutto. Poi però il nostro amico ci racconta di quella volta che. Sempre aduso all’acquorea masturbazione, si era sistemato con il suo giovane culo proprio ben bene sopra alla ventola di aspirazione della piscina. E così s’accarezzava, e così si trastullava, godendo di quel frizzante solletico proprio preciso nel punto più sensibile del corpo; una sega con risucchio posteriore, si direbbe. Un piacevole vortice aspirante piazzato sotto al culo, a raddoppiare il piacere e rendere la successiva desiderata caccia ancora più pazzesca. Adoprandosi con mano e ventola retrostante, il ragazzo facilmente arriva al punto; sta quasi per spruzzare via le sue amate bigliette bianche che è il momento della risalita dal fondo della piscina alla superficie. Così, prima di concludere, si dà una spinta verso l’alto per finalmente venire gioiosamente mentre risale. Però. Accidenti, resta come bloccato. Qualcosa lo trattiene. Comincia a strattonare di più, a tirare, a spingere, ma no. Forse il costumino impigliato da qualche parte. Tira e ritira, forte, ma non c’è verso. Si gira allora a vedere cosa. E’ qui che alcuni hanno cominciato a cascar giù per terra. Perché quello che il ragazzo vede dietro di sé, sotto il suo culo, avvinghiato alla griglia d’aspirazione sul fondo, è una specie di impasto sanguinolento e spugnoso, arrotolato e divincolantesi come serpente marino, ribollente di filamenti di colore vario, una cosa mostruosa appallata e scura, rossa, marrone – come viva. Con dentro anche qualcosa di molto rassomigliante a piccole pastiglie blu che il ragazzo, si ricorda, ha ingerito dopo pranzo. E questo mostro vivo di spugna e sangue e merda sparisce dentro la ventola spargendo filamenti rossastri e osceni tutto intorno, mentre il ragazzo ancora non capisce, e pensa a un cane morto o a chissà cosa finito dentro alla piscina. Quando alfine capisce che trattasi di prolasso del suo proprio intestino, aspirato con forza dalla griglia di areazione – mentre intanto i due o tre si rialzano da terra – egli comincia a vagliare piuttosto lucidamente le possibili soluzioni al problema. Tutte parimenti esecrabili. In questo impasto di budella spermatiche e sanguinanti io mi fermo. Perché almeno la soluzione scelta dall’eroe non ve la voglio sciupare con le mie parole. Ché vi piacerà scoprirla da voi, prima o poi e non so come. Certamente – mi auguro – non sul fondo di una piscina.
Ora, alla fine di tutto questo: se sia stata una pagina di vera letteratura, quella di Palahniuk, io proprio non lo so. Però mi sono divertita; e mi son sentita più volte scomoda sulla sedia – il che in questi tempi di noia è già assai.

Spigolature / 7. Le budella di Palahniuk – ripresaultima modifica: 2003-10-16T00:15:00+02:00da
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