Gira che ti rigira o “Certo come sapeva fare le feste lui…”

Traballante sono arrivata allo schermo nel mio sabato sera di lavoro. Le consegne della grammatica incalzano e io son sempre alla morfologia; all’inizio della morfologia – il nome, per la precisione (e proprio, comune, concreto, astratto, individuale, collettivo e via e via e via). Ma traballante, dicevo, di fronte allo schermo. Causa bottiglia di vino bianco presa ad agosto in una cantina di Lizzano, e bevuta in tre, prima di cena; io appollaiata sul bracciolo del divano a buttar giù salamini Beretta affumicati, con Monk che picchia sui tasti e quei magnifici flute Leonardo sul vassoio rosso. Con noi c’era Andrea, al solito impeccabile in giacca e mocassino squadrato, perfetto esempio del perfetto incastro di cui a volte la vita ci rende – bontà sua – oggetti. Infatti Andrea insegnava con me a Middlebury, nell’estate del 2001. Ci accomunavano diverse cose: la passione per i cornetti al cioccolato mangiati all’Otter creek bakery la mattina prima di andare a lezione, l’irritazione sorda per film davvero brutti come La mia generazione di Wilma Labate, l’incantamento indiscutibile per quella Mina lì con quel solito Alberto Lupo, la composta ma decisa ammirazione per le feste di Gatsby – il grande, dico. Poi Andrea una sera, non ricordo che bionda avesse per le mani, mi tirò un pacco clamoroso lasciandomi andare da sola a una cena con dei professoroni (molto piccoli, in realtà) che mi tediavano e m’irritavano allo sfinimento. Va bene che poi dette le chiavi della sua macchina nuova alla calabrese Alessandra scortata dal giovane Peter, affinchè insieme venissero a prelevarmi e salvarmi. Va bene che loro per farlo furono fermati dalla polizia e lei ignorando le più elementari regole della strada americana fece come per scendere giù dalla macchina. Va bene che lui era mezzo ubriaco e spiccicava a stento tre o quattro parole d’italiano e la sua risata chiara mista all’azzurro alcolico dello sguardo e al ciuffo grano sulla fronte valevano bene quell’attesa nella casa del borioso nano napoletano. Però insomma io me la presi un po’, per quel pacco non annunciato ma subodorato; anche se mi passò subito, come sempre mi passano tutte le finte (o vere) arrabbiature. Comunque io e Andrea, alla fine, mentre gli alunni sciamavano lesti a frotte verso le vacanze, ci salutammo sotto le finestre di Starr, accanto alla sua macchina piena di scatoloni e un ventilatore, convinti senza dubbio e senza dirselo di non rivederci più. Del resto io allora vivevo a Pistoia e lui invece da qualche parte nel New Jersey.
Poi, dopo due anni e molte cose in mezzo, siamo finiti così, sul mio divano a bere vino bianco con Monk in sottofondo, in un piovoso sabato sera qualunque. Perché gira che ti rigira io adesso vivo a Bologna e lui è praticamente, potremmo quasi dire, il mio vicino di casa.

Gira che ti rigira o “Certo come sapeva fare le feste lui…”ultima modifica: 2003-10-19T22:40:00+02:00da capecchi
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4 pensieri su “Gira che ti rigira o “Certo come sapeva fare le feste lui…”

  1. Lui com’è? Percaso libero? Sento che nel mio destioni c’è un uomo americano e poi, io sono bionda. baci momi67

  2. Subito due chiarimenti: i professori che insegnavano al Middlebury college durante i corsi estivi erano tutti italiani o italo-americani . Il corso era RIGOROSAMENTE in italiano senza possibilità di infrazione alcuna. Nella fattispecie, il nano borioso era – Robba mi scuserà – napoletano. Per Momi: Andrea non è americano ma italiano. Ha solo vissuto in America per qualche anno. E, dolente, ma è sposato da questa primavera. E lei non è neppure bionda, anzi orientaleggiant e. (Gaia)

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