Mi ero già espressa su di lei nei commenti a un pezzo di Tom; ma siccome, vedo, questo gennaio la si ascolta parecchio in giro, tipo in casa Mappamondo o Emmebi, bisognerà che ribadisca quanto avevo allora scritto: la signora è brava e ha una bella voce; ma non fatele scrivere i testi, per carità. Il problema è che, in un disco che vuole essere – ed è – jazz e in cui si presume che non ci sia nulla da ridere, io ho riso. Ma riso davvero, forte e chiaro, di fronte a frasi come: “Io vivo a volte infelice a volte gaudente” oppure “E mi accorgo che la vita mi ha lodata quasi osannata”. I suoi testi imbarazzano, l’avevo già detto. Sono oggettivamente inutili, mediocri, brutti, non c’è niente da fare; e dispiace, perché quando una giovane cantante jazz si mette a comporre e scrivere cose sue, vorresti dirne un gran bene. Invece puoi solo dire che l’ascolti il meno possibile, perché ogni volta che senti quei testi, t’aggredisce il fastidio: eh, no, non si fa un disco jazz a metà. Ci si concede magari più tempo: per riconoscere la bruttezza, strappare i propri fogli e scrivere parole che fulmino chi ascolti. Non che lo facciano ridere. Si attendono altre prove della brava Amalia: ma che getti la penna o, almeno, l’affili meglio.
Fra gli aghi un breve grè grè
Fra gli aghi un breve grè grèultima modifica: 2004-01-14T17:50:00+01:00da
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