Le stanze di Gaia

Spigolature / 9. Sedici racconti più uno

Ecco.
Tre sono belli; ma belli molto e davvero. Per personaggi, linguaggio, struttura. Racconti veri, dove un protagonista ti entra in testa in primo luogo per il nome e poi per le sue manie e poi per tutta una serie di particolari che gli fanno da sfondo e poi, certo, per il finale che non prevedevi. Racconti apocalittici dove un deflagrare di pezzi di muro e carne e ossa e vetri e grumi di materia viene così perfettamente organizzato da capire che dietro c’è qualcuno che pensa e sa disporre come si deve i pezzi di una storia. Racconti di scene limpide ed elegantemente perfette, come un incubo da svegli. Con persone algide, crudeli; indifferenti quanto un’agave immota sul bordo di una piscina. Con parole-diamanti aguzzi che incidono sagome impeccabili contro la trasparenza del vetro.
Si trovano in giro alcune piacevolezze. Ad esempio certi buffi personaggi coniglieschi che fanno sorridere e portano una tenerezza sincera. O lampi poetici scritti da due di quattro mani, che sciolgono rimembranze bambine e malinconiche suggestioni urbane. Qualche guizzo notevole negli scritti visionari di chi ha un’età per stare ancora dietro a un banco; e allora ben venga, che scriva e che continui, perché magari fra qualche anno chissà. Poi il viaggio del sole, tortuoso e semplice insieme.
Non mancano cose detestabili e financo un po’ patetiche: i giovanilismi d’accatto, tutti un rutto e casse di birra e appartamentacci da nullafacenti coi capelli rasta e la canna penzoloni dal labbro e tutto un ammucchiarsi indistinto di voci e carni. Di più detestabile di questo c’è solo, in effetti, quando tutto ciò accade nella vita e non in una pagina scritta. Dilagano momenti imbarazzanti: laddove “palpitano” “cazzi” e “cosce” e umori vari e poi, szzzzzzzzzut, uno tira fuori un coltello e qualcuno crepa in mezzo al proprio sperma. Sopravvivacchiano, in modo abbastanza irritante, i quasi mai riusciti tentativi d’umorismo, in un deserto di trame e strutture.
Per il resto: acqua fresca che scivola e non si lascia ricordare.

[Sbagliavo. Ce n’è uno che è tornato a galla. Insinuandosi con millimetrica precisione nelle pieghe della quotidianità. Perchè di questo è fatto quel racconto: l’ossessiva ripetitività di tutte le famiglie normali, che riciclano le stesse frasi memorie facce cene. Inutile e pesante tutta la pappardella iniziale, è vero, ma agghiacciante tutto il resto, nella quieta malinconia domestica che ti resta appiccicata addosso; e in quel linguaggio che sceneggia il nulla del reale.] 

Spigolature / 9. Sedici racconti più unoultima modifica: 2004-10-28T15:50:00+02:00da
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