Le stanze di Gaia

Orvieto / 1. Tartufi, cinghiali, asprezze.


A Orvieto la gente è rupestre e ombrosa come ti aspetti che sia chi vive arroccato sul tufo. Non maleducata: selvatica, che è diverso. Soprattutto autisti di autobus e norcini. Lasciate fare ai norcini quello che vogliono loro, se no è capace che ti si rivoltino contro. E non importunate gli autisti con domande sciocche, che il centro è centro e il Duomo è Duomo, diamine. Gli orvietani sono quel tipo di gente che piace a te, senza fronzoli. Aspri.
A Orvieto si sta bene. Si cammina all’odor di tartufo, si beve molto e si mangia molto; spesso umbrichelli e salsicce di cinghiale. Pecorini che pizzicano sulla lingua. Dappertutto bruschette, che ovunque indicano ristorante di scarso pregio, ma qui invece si mangiano con gusto e in tre bocconi, con le mani unte, su tavolini con tovaglie a quadri.
Le vie poi sono strette e scure. Ventose. Ti ci ficchi dentro a testa bassa, col cappello di cachemire nero e i guanti ben calzati. Svicoli veloce fra la gente, t’affacci giù e vedi precipizi verdi. Resti in bilico davanti agli orli merlati di qualche torre, aspetti il trapassare dal giorno sereno come uno specchio alle ombre rosacupo della sera. Le luci di Natale brillano e penzolano giù. Si stagliano nude e definitive contro i muri spessi delle case, scuri e vecchi e immobili.
Poi naturalmente c’è il jazz. Ma di quello se ne parla un’altra volta perché per oggi ho già fatto anche troppo, interrompendo la mia unica attività di questi primi giorni dell’anno: divano, coperta con le pecore, film, dormita, capelli da pazza, piatto di spaghetti strepitosi, divano, coperta con le pecore, film, notte.

Orvieto / 1. Tartufi, cinghiali, asprezze.ultima modifica: 2005-01-13T15:40:00+01:00da
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