Le stanze di Gaia

Abbracci di giugno


Poi qualcuno potrebbe dire che io parlo sempre di alunni. Beh, ma come si fa a non farlo. Io amo questo periodo dell’anno. Gli ultimi giorni sono lunghissimi eppure ti si strappano via di dosso rapidi: ti volti ed è già passato tutto. Le ultime interrogazioni, gli scrutini, le cene di classe, gli esami. Finito. E a me piglia uno struggimento adolescenziale e insieme una voglia di star fuori fino a tardi; che se non fosse per quel minimo di raziocino che ci metto chiederei loro di venir fuori a cena con me tutte le sere, baratterei tutte le uscite coi colleghi con mille serate in mezzo a quegli scriteriati di quattordicenni eccitati per l’estate in arrivo.
Sono mattine di scuola meravigliose. Le classi sono in fase di smantellamento e tutti ti stanno più intorno del solito, ti chiedono, ti assillano con quei benedetti collegamenti per l’esame che ti fanno davvero diventare matta eppure tu ti ci metti, lì con loro, a trovare un legame fra Pearl Harbor e cosa cosa cosa? Per musica, cosa? Per arte? Per letteratura? In genere su letteratura parto per la tangente. E se poi mi sento dire, piano, da un’alunna dell’ultimo banco “Io a letteratura porto Sandro Penna”, è fatta. Così, siccome in classe mi piace fare un po’ di teatro, mi alzo platealmente dalla cattedra, attraverso l’aula fendendo i banchi fra gli sguardi interrogativi delle belve e la vado ad abbracciare forte. Ma non è questo il punto. Il punto è che in mattine così, salta su lo sciamannone dalle braccia martoriate che mi dice “Prof, se porto Sandro Penna abbraccia anche me?”. Tutti ridono e rido anch’io, ma proprio c’ho il cuore gonfio e pieno, mentre lui continua a martellarmi perché vuol farsi interrogare a storia, ancora e ancora. Io, è chiaro, son tutta contenta, però gli dico: “Oh Luca, basta, via, tu vuoi sempre venire qui alla cattedra a farti interrogare: o cosa vuoi dalla mia vita?”. La risposta, cantata forte dal fondo dell’aula, fa così: “Voglio l’ammmooooooreeeeeeeeeeeee!”.
Figurarsi che invece le mie colleghe non vedono l’ora che finisca la scuola. Mentre io son triste pure quando finisce l’ora, così che alla fine, per sentirmi meno sola nonché più sicura di ingraziarmelo, mi avvicino allo sciamannone e propongo un abbraccio in cambio di un comportamento corretto con la supplente che sta per arrivare. Quest’abbraccio fra i banchi m’arriva forte e caldo. Luca quasi mi solleva da terra e non ha paura a farmi sentire che c’è. Il bidello sulla porta ci vede e ride, con i suoi denti rovinati e il suo fiato d’alcool, mentre io torno a casa e penso quanto siano belli certi abbracci, di giugno, mentre tutto sta per finire.   

Abbracci di giugnoultima modifica: 2007-06-05T23:10:00+02:00da
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