Ultimo giorno di scuola


Per compiere la mia ultima camminata verso la classe, ho scelto consapevolmente Django Reinhardt, ma non saprei dire perchè. Erano le otto, come al solito pioviscolava e l’odore di New York che arriva dalla tavola calda dell’Autostazione impregnava già aria e capelli. La scelta musicale si è rivelata perfetta. Niente meno che. Sono arrivata nel cortile carica come una molla. Avevo voglia di ridere, saltare, abbracciare tutti forte e infatti un po’ l’ho fatto, ché mi sono stretta quel pugno di alunni che non avrei rivisto, ho toccato guance soffici e perfette, ho stretto spalle e scambiato sguardi belli coi ragazzi più scorzosi sul gradino d’ingresso. Poi io l’ultimo giorno non riesco proprio a fare la cattiva come faccio sempre. Mi lascio andare anch’io al caos, giro nella classe in subbuglio, li ristringo e li bacio, lascio che le voci si accavallino in modi che di solito non tollero. Che diamine, è l’ultimo giorno. Che cosa mai potrà succede se le classi implodono per dieci, venti, trenta minuti? Al limite l’anno dopo si ritira su tutto. In terza, poi, festa grande. Dopo un’ora di ripassone generale di storia, è il momento di piantarla di prendersi in giro: è arrivata anche lì la fine della scuola, non possiamo più negarlo. E poi, a dire il vero, sono io stessa che fremo, mi tengo a stento ferma sulla sedia, voglio dare inizio alla festa, mi scottano i biscotti che ho in borsa e le letterine che ho pronte e la macchina fotografica non riesco a nasconderla più. Via, allora, che comincino i festeggiamenti. E allora sono lacrime, abbracci, biglietti, banchi che si spostano, fotografie di gruppi che si compongo e si decompongono e caldo, caldo, caldo, tanto caldo; un’aria gocciolante e umida come fosse Africa, mentre dalle finestre arrivano le urla dei maledetti bambini di prima che escono a mezzogiorno e inneggiano alla fine. Lo sciamannone mi ha detto col sopracciglio alzato di avere una cosa per me ma di essersela scordata a casa. Poi mi ha abbracciato, come volevo, e mi ha, stavolta, proprio sollevato da terra, con le sue braccia forti e ferite. E gli abbracci degli altri si sono succeduti uno sull’altro, uno dentro l’altro, facendomi pensare a quanto gli abbracci dicono, della gente. A quanto spiegano del proprio modo di sentire il mondo. Perché c’è quello rigido e impalato, quello che s’imbarazza e guarda lontano, chi ti s’appoggia in cerca di protezione, chi si protende per un bacio sulla guancia e quello che si fa scuotere come fosse un pupazzo. A me piacciono tanto gli abbracci come quello di Luca, che ti pigliano e ti ribaltano. Non voglio abbraccini rinsecchiti e svelti, ma abbracci sodi, sudati, pieni di umori e anche dolorosi, se c’è bisogno. Ma sentirsi.

Ultimo giorno di scuolaultima modifica: 2007-06-09T00:30:00+02:00da capecchi
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5 pensieri su “Ultimo giorno di scuola

  1. Uffa, non è giusto! Perchè noi siamo dovuti andare a teatro??? Immagino che bella atmosfera c’era in 3B!!!!

    BACI

  2. In effetti, Tanya, non ti nego che è stato proprio bello. Io ho scelto apposta di NON andare a teatro. Ma come si fa a portare i ragazzi fuori scuola l’ultimo giorno? Mah! Noi comunque festeggeremo e ci (ri)abbracceremo alla cena post-esame, stai tranquilla. Però: chi si offre di sollevarmi da terra come Luca S.? Leo? T’immagini che ridere?

  3. Più leggo i suoi post e più ho l’impressione che Lei sappia -come dire?- LEGGERE le persone, al di là di ciò che danno a vedere ‘a prima vista’…

  4. Cate, sei arrivata anche te da queste parti? Ma bada. Benvenuta, comunque.
    Alex: non lo so se so leggere dentro le persone. Però leggo te e questo mi basta per sapere che avrei tanto voluto averti in classe.

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