Le stanze di Gaia

Dilacerandomi


Sciabordano insieme incredibili gioie e amarezze assolute; rabbie che a stento gestisco – ma invece devo devo devo. Il senso di fallimento battaglia con quello profondo di bene e soddisfazione. A una cena di terza solare, serena, piena di fotografie e risate, piena di regali e fiori posati sul tavolo per accoglierti, fanno seguito mattinate di altre terze orribili, spente, stentate: esami orali come non pensavo potessero esistere. Tutti si siedono e dicono subito “Storia”. Tutti si siedono e partono guardandomi dritto in faccia. Dopo, il nulla. Il precipite sbriciolarsi di obiettivi, programmi, certezze. Spalancano gli occhi e annaspano. Boccheggiano. Non sanno più che dire. Una sola volta ho sentito Leopardi (spiegato da Dio ma solo perché a parlare era il grandissimo Leo, che per altro mi ha fatto venire i brividi mentre illustrava Turner); un’altra Manzoni (stentatamente e tutto suggerito tra i denti dalla sottoscritta); un’altra Malpelo, che amo e mi angoscia e invece è uscito come uno che lavora in miniera (cava di rena, cava di rena, diamine!) e picchia l’amico Ranocchio ma non è che si sappia tanto bene perché. Il mio Malpelo, il mio Ranocchio. Quei due lì. Ecco. Io non voglio più stare in una classe e insegnare solo storia. Io odio insegnare solo storia. Perché poi finisce che all’esame nessuno sa dire nulla, e si parla del CPM di Lampedusa che chi diavolo se ne frega del CPM di Lampedusa a italiano, quando Montale ha scritto versi meravigliosi, e quando ci sarebbe da leggere “Taci, sulle soglie del bosco non odo parole che dici umane”. Quando Pascoli e il Chiù dell’Assiuolo questo sconosciuto, quando il frizzo giocoso di Palazzeschi chi? e quando le maschere di Pirandello invece di essere letteratura mi circondano, da tutte le parti, sistemate lì in fila, in ghigni stravolti da noia o disagio o generiche lamentale per l’ora che si fa tarda. Pensare che invece per me, alla cena di classe della sera prima, ci sono Tutte le poesie di Sandro Penna e io scarto impaziente come una bambina, lo scopro e mi scaravento sull’alunno timido e gentile che me l’ha regalato e ha scritto pure una lunga dedica sulla prima pagina. Questo mentre intorno, tutto intorno, dietro, di lato, davanti, accalcati, scomposti, imbarazzati o dolci mi circondano degli esseri a cui voglio bene e che mi riempiono così tanto di loro che dovrei accontentarmi e farmi bastare quel pieno. Ma siccome sono avida e non mi basta proprio nulla, stamani ne vorrei ancora, di quel senso rotondo di completezza, invece resto come una deficiente quando scorrono uno dopo l’altro ragazzi eccezionali che si meriterebbero di brillare ma nulla, non brillano, ad eccezione naturalmente del solito Leo, che è talmente oltre e fuori da che potrebbe avere avuto in classe me, il papa o il primo imbecille che passa e avrebbe comunque spezzato le ossa a tutti quanti.
Sciabordano insieme un sacco di cose. E forse sarò ripetitiva o noiosa ma chi se n’importa, qui c’è mio e parlo io: questa fine d’anno è davvero logorante, mischia troppe cose e confonde tutto quanto. Dilacerandomi lo sterno a furia di affetti diversi che non riesco, tutti in egual misura, a difendere e proteggere. Raramente, come oggi alle due nella camminata solitaria da scuola a casa, mi sono sentita più sola e vuota di così. Però sul comodino ho un piccolo e grasso gnomo portafortuna, oltre a un geco rosa di vetro trasparente.

 

Dilacerandomiultima modifica: 2007-06-16T17:29:40+02:00da
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