I miei quattordici anni

(per Alex, lei sa perchè)

Io me li ricordo bene i miei quattordici anni. La fine della terza media. Com’ero io e com’erano le mie amiche e di cosa si parlava e cosa si voleva. Io volevo andare al liceo classico e bruciare il violino, ad esempio. Ricordo tutto. Anzi, sinceramente la Simona che si volta indietro verso di me, al terzo banco dietro al Macca col suo cesto di capelli, mi sembra proprio ieri. Tutte quelle compagne (poche) che andavano a slinguazzare in giro i ragazzi più grandi e – si diceva come in una specie di leggenda – facessero anche altro, erano viste da noi, senza alcuna cattiveria ma con un misto di paura e incomprensione, quasi come delle donne di malaffare. Sulla scuola o sugli esami non si discuteva, facevano parte della vita, dovevano essere fatti e bene. La parola casino io non la pronunciavo. Di bere non se ne parlava: io mi sono ubriacata per la prima volta (giuro) a ben ventisette anni e dopo mi è sempre rimasta una specie di avversione per il mito dell’ubriacatura molesta da sabato sera, quella in cui “dio com’ero fuori ieri sera”. Ho capito invece, tipo sei o sette anni fa, quanto fosse bello essere sì ubriachi ma non darlo a vedere proprio a nessuno, guardare anzi tutti con sguardo più perso, traballare appena un po’, sorridere, avere tanto sonno e addormentarsi su qualche divano in compagnia di chi ti vuole bene. Di fumare non se n’è mai parlato. Anzi sì, una sigaretta a Donoratico una volta c’è stata, seduta accanto a Dino, nel luglio del 1989 (ma di anni ne avevo 18).
A quattordici anni la Simona ed io ascoltavamo Baglioni e quell’estate della terza media giocare al gioco della bottiglia scatenò un furioso dramma familiare: i miei mi presero, mi portarono in macchina lungo l’Aurelia e finché non finirono il predicozzo morale non mi riportarono indietro. Io pensavo che aver sfiorato appena le labbra di Robertino il campione di ping-pong (che adoravo) fosse un peccato da lavare via col sangue. A quattordici anni ascoltavo gli Wham e mi ricopiavo sul diario Everything she wants perdendomi in fantasticherie indistinte. In quell’estate a Castiglioncello m’innamorai di Diego e lui di me, ma non mi pare che poi sia mai successo qualcosa; tranne un luccicoso guardarsi dentro gli occhi nella notte che sembrava lunghissima e invece finiva alle undici, nel piccolo recinto del residence dove i genitori vegliavano dai terrazzi e da dietro le siepi. A quattordici anni io leggevo un sacco e mi piaceva raccontare agli altri storie dell’orrore che mi venivano parecchio bene. La Simona poi tornava dalla montagna e mi favoleggiava di un mondo adulto di balere e gente svelta, una terra che mi sembrava lontanissima e strana, incomprensibile. Scrivevo anche tante lettere, esattamente come ora, e ne ricevevo altrettante in cambio, che mi rendevano felice.
Le estati erano sempre caldissime e abbastanza solitarie. Mi piacevano il mio orto, il campo dietro casa e scrivere sciocchezze sul diario arrampicata sul muro scrostato che c’è ancora. Erano belle estati e bei pomeriggi. Non mi sentivo diversa né sola. Ero piena di tutto quel nulla che accadeva, ero davvero come volevo essere, non mi sentivo più piccola o più grande delle altre. E la luce che c’era in quei pomeriggi, io, me la ricordo ancora: dovevo ancora vedere e vivere tutto; non c’era nulla che mi sembrasse difficile, impossibile o veramente triste.
L’amore, allora, era tenersi forte la mano nascosti nello stesso rifugio dietro le siepi della Fattoria nel parco. Fingere che gli altri ti stanno ancora cercando e rimanere lì, zitti, col fiato sospeso, a non dirsi nulla e a non guardarsi.  

 

 

I miei quattordici anniultima modifica: 2007-06-19T00:06:04+02:00da capecchi
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7 pensieri su “I miei quattordici anni

  1. Mi sembra quasi di essere lì, di sentire il profumo dell’estate e di vederLa che scrive sul Suo diario sul muro scrostato. E’ un post molto -come dire- evocativo! Grazie.
    Per quanto riguarda i miei quattordici anni -beh, Lei legge il mio blog e quindi sa come vanno per adesso. Niente amore, un po’ di scuola, tante amiche speciali e confusione a mille.
    P.S. E i quindici?

    Un abbraccio

    Alex

  2. Uh, ma quanta nostalgia che mi hai fatto venire… io – che nell’89 ero già all’università, dei quattordici anni ho ricordi in qualche modo simili ai tuoi.

    Mi ricordo benissimo l’esame di terza media, in cui feci una figura barbina all’orale di francese, deludendo la mia amata prof, che mi aveva presentata come la sua allieva modello.
    Ricordo un “amore” sfegatato per Marco, che però non era ricambiato (la situazione si è poi ribaltata qualche anno dopo), anche perché io ero, anche fisicamente, poco più di una bambina. Per fortuna che non era ricambiato, altrimenti non avrei saputo che fare! E poi i sogni, le speranze, la voglia di crescere per essere finalmente “libera”, anche se nella mia ingenuità, non avevo un’idea concreta di cosa fosse quella libertà alla quale anelavo.

    La confusione, come dice Alex, era tanta, l’idea di essere diversa, anche: un po’ per quella mia instancabile mania di leggere, un po’ per la mia timidezza (o era riservatezza? non so), un po’ perché la mia amica Franci mi sembrava così tanto più bella, più “donna” di me (non lo era, forse era solo qualche mese più avanti di me, fisicamente). L’estate dopo l’esame me la ricordo un po’ travagliata, con l’attesa vagamente timorosa dell’inizio del liceo, i giorni al mare dalla Franci che dette il primo bacio ad un ragazzo (che mi sembrava bellissimo), mentre io ancora non battevo chiodo, un concerto di Baglioni a cui mi dovettero trascinare, perché io già allora facevo la snob, ma che in realtà mi piacque tantissimo, qualche nottata passata a piangere, perché mi sembrava che il resto della mia vita fosse destinato a rimanere così. Poi è iniziato il liceo ed è cambiato tutto.

    Il post era per Alex, ma vorrei dirti grazie anche da parte mia per aver riportato a galla con le tue parole tutti questi (bei) ricordi.

  3. Alex, allora, prossimamente il racconto sui quindici, promesso. Isadora, grazie a te di esserti fermata ed aver letto con tanta attenzione. Belli i nostri quattordici anni, sì.

  4. Cara Robba, purtroppo l’insegnante di Alex non sono io (anche se lo vorrei tanto). Credo, però, che in questo caso specifico tutto il merito vada imputato alla bimba stessa e alle sue letture. Chiederò conferma.

  5. No, le letture mi hanno molto aiutata, ma il fatto di avere sempre avuto ottime insegnanti di italiano non è stato meno importante.

    P.S. All’inizio pensavo che il commento di Robba fosse ironico.

  6. Quanti ricordi… mi sto riascoltando everything she wants dopo tnt anni! Ho i brividi addosso! ti ringrazio perchè cn questo intervento m’hai fatto ricordare qualcosa della mia adolescenza che non ho mai il tempo di ricordare per i vari impegni di lavoro,di famiglia ecc..
    cmq.. Somebody tell meeeeeeeeeeeeeeee!

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