Le stanze di Gaia

Umbria jazz / 2. La Nina e Jarrett


Il momento più bello di tutta la vacanza avviene prima del concerto di Jarrett, quando la Nina corre impazzita giù nell’Arena, sbattendo forte i piedi sulla pedana di legno; oppure perdendosi nell’erba. In fondo, e in alto, c’è Perugia e un pazzesco tramonto poco violento sopra la città, ritagliata in limpide e rosate sagome di cartone lassù ai Giardini Carducci. Io sfoggio un pantalone paracadute e  piccole zeppe di pelle marrone che adoro, mentre la Nina grida “appa, appa, appa”, che poi vorrebbe dire “acqua” e infatti beve come un uccellino dalla bottiglia di plastica comprata apposta. La notte si prepara freddissima, per questo mi compro il felpone blu con la scritta gialla Umbria jazz e non esito a indossarlo, perché il vento sferza ed è impietoso, cattivo. La Nina intanto viene portata su, io mi siedo in prima fila, aspetto. Dietro ho una coppia abbastanza giovane, abbastanza innamorata, almeno a giudicare dall’abbigliamento leggero e dai sandali argento di lei, affatto adatti alla temperatura, al terreno, alla serata. Quando Jarrett entra, in un’improbabile camicia di seta verde con gilet damascato, pure verde, si avvia verso il microfono e inizia così: “Voi stronzi buttate via le vostre fottute macchine fotografiche o io mi prendo il diritto di alzarmi e di lasciare questa dannata città”. Sì, proprio così. Aggiungendo qualche altro fucking in un discorso più ampio e articolato, che lascia il pubblico incerto fra il fischio e lo sbigottimento. Il concerto si svolge in un clima irreale. La gente non sa neppure se deve applaudire. Siamo tutti statue di sale e ascoltiamo un trio meraviglia, che però ci lascia come indifferenti. Che suonano da dio lo sentiamo tutti. Che lui si alza dallo sgabello e muove il sedere e lancia dei brevi gridi e sorride, anche quello, sì, lo vediamo tutti. Ma il gelo ha imbalsamato le facce di tutti quanti. E non è, davvero, solo il freddo. Io seguo il concerto seria, stretta nelle braccia, quasi scivolata per terra, serrata dentro la felpa e dentro la volontà di scavalcare gli insulti iniziali per piombare dentro le note. Ma non ce la faccio. Ascolto ma mi perdo. Guardo De Johnette dal volto impassibile e Peacock il vecchio che ride ad ogni movimento di dita dell’amico Keith e non mi riesce, maledizione, non mi riesce emozionarmi per davvero e mai. Mai, in nessuno dei bellissimi – ma non geniali – momenti di musica che quello lì vestito di verde ci butta addosso. L’unica emozione che provo è la mancanza: pensare che la Nina è su, nel parco, oltre le gradinate, a sentire il suo primo concerto jazz. Ma allora che Jarrett mi faccia il piacere, lui e le sue paranoie da malato immaginario; io piglio e mi levo di torno. Mentre ancora suona scappo e corro via dalla platea e dal freddo. Arrivo dalla Nina, che dorme tranquilla avvolta nel mio pareo arancione; ed è bellissima.  

 

Umbria jazz / 2. La Nina e Jarrettultima modifica: 2007-07-18T00:05:00+02:00da
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