Le stanze di Gaia

Settima bolgia

Cascata dentro all’Inferno dantesco, mi aggiro su ronchi scoscesi e avide serpi. Fantasmi già di per sé fantasmi che si fanno cenere; e poi si ricompongono, ritornano uomini di niente, ombre. E un altro serpente, la lingua puntuta, di nuovo, nel collo. Dissolversi; in cenere; ricrearsi; in ombra. Così, all’infinito. Chelidri, iaculi e faree, chencri e anfisibena. Per ovunque ti volti. Per sempre.
Ma io insomma m’affaccio lo stesso a dirupate bolge e lo faccio in scarpe rosse, di camoscio, con il tacco, perfette per lasciarti cader giù ma anche per incastrarsi a qualche scheggia o radice, e salvarti.
La settima bolgia risucchia nel frattempo patemi grammaticali e strani capogiri, dovuti senza dubbio all’assenza di formaggini buoni per il cuore e l’umore.
Ed è mentre mi gira la testa così, in bilico su questo mondo franante, che lo sento, lo percepisco bene, diretto, nel corpo: ho bisogno di jazz. E di Gerswhin. Infatti Bill Evans appare l’unico, al momento, capace di restituire fiato e tempo. Comprensibilità.

 

(Bill Evans, I loves you Porgy, in At the Montreaux jazz festival. Musica per quando si cerca di respirare)

 

 

Settima bolgiaultima modifica: 2008-01-19T19:38:58+01:00da
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