Le stanze di Gaia

Torre

Mi sono incisa sopra gli occhi un pesante trucco color viola – maschera od occhiaia rovesciata – e sono uscita. In un sole che tagliava le strade di traverso, netto. Non c’era spazio per le sfumature, stamani verso le undici e mezzo, mentre camminavo pestando l’asfalto in strade secondarie e marginali. C’era solo da non fermarsi mai e affacciarsi e scattare e poi salire salire salire sempre, senza fiato, su per la torre più alta, su ancora, il cuore in un pugno, il polmone arrotolato al collo come una sciarpa. Appoggiarsi ogni tanto al muro, forse sedersi sui gradini angusti, di legno liscissimo, scuro. Che poi quando arrivi in cima è bello, sì, e lungo la schiena ti si gela il sudore per il vento che tira, proprio mentre il sole da lassù illumina chiese tetti vie; le facce delle persone insolite che son salite fin lì a quest’ora e in questo giorno da nulla in mezzo alla settimana. Che poi quando sei lì ti siedi un po’ appoggiata alle inferriate, appoggi la testa, lasci andare gli occhi. C’è un caldo buono. C’è pace. Però mentre ridiscendi rapida risucchiata verso il basso t’accorgi che è stata la salita, la parte migliore. E mancava il fiato e stavi male e pensavi che dalle mani ti cascasse tutto quanto ma l’arrampicarsi, l’arrampicarsi, scopri, era il senso. L’attaccarsi con le mani e il respiro a quello che mancava; e non smettere mai.

Torreultima modifica: 2008-01-23T21:40:00+01:00da
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