Le stanze di Gaia

Dondolando

Scelgo l’abito nero bianco e ottanio; ed esco. La città è deserta, morta. Io cammino veloce. Ma ascolto. “Olha que coisa mais linda mais cheia de graça è ela menina que vem e que passa nun doce balanço caminho do mar”. Che più o meno vorrebbe dire che una ragazza cammina lungo il mare piena di grazia, dondolando. Dondolando. Pensa. E’ la canzone di una ragazza che cammina sul mare e dondola. Non cammina, dondola. Cammina come ballare una samba. Che infatti poi quando la canta Astrud Gilberto dice proprio così: “When she walks she’s like a samba that swings so cool and sways so gentle”. Infatti io così la canto mentre taglio la strada. Gentile e morbida. E la ricordo poi quando la suonavo e accadde anche una volta che proprio su quel pezzo feci il solo più bello di tutta la mia vita, al Fox di Bonelle, che mi sentivo qualcosa che vibrava dentro, e gli occhi bruciavano e le dita andavano e andavano e la gonna che indossavo era rossa e gli applausi furono davvero grossi e pieni. Però io dopo mi rovesciai giù dal palco vomitando. Avevo la febbre alta e non stavo in piedi ma avevo suonato su quel pezzo un solo che forse mai più ho suonato e ancora lo ricordo, io, come mi sentivo. Suonavo. Musica. Note. Poesia. Vinicius de Moraes e Jobim che stanno lì seduti di fronte al mare e lei passa e loro dicono: madonna quanto è bella ma quanto e triste e guarda come ondeggia e come le passa la giovinezza attraverso. Ed ecco. Io la suono. Questo sarebbe il pezzo. Che parla e canta e suona di una giovane bella fanciulla che non cammina ma dondola, senza alcun baricentro a parte la grazia. La grazia, appunto. La poesia. Questo sarebbe il pezzo.


Ma che strano. Tutto ciò non c’entra davvero nulla con Claudio. E io volevo proprio scrivere di Claudio, invece. Che rivederlo è tornare un po’ a com’ero. Infatti lui mi vede sempre bella e luminosa, non so. Si vede che lo pensa e comunque me lo dice e che diamine sì, ha proprio ragione, perché io mi ci sento, così come dice lui. Lo sono, stasera. Con questo abito nero bianco e ottanio che mi cade giù a piombo, e i brillantini che brillano sulla faccia di Claudio e lui che mi dice davanti al Borgani argento: “Una volta ci si vedeva due volte a settimana”. Già.
Poi suona per due ore. Ed è lui. Sempre. Il chitarrista eremita dalla faccia di gufo viene di certo da un’altra terra. Il bassista invece troppo da questa, che se ne sta lì nel suo metro e novanta di muscoli tesi – le spalle le braccia e le gambe molto lunghe e una lo guarda e dice: ma quand’è che ora appende il basso a un chiodo e si strappa la maglietta? Il pensiero fa molto ridere e i brividi quando Tesi apre a ventaglio l’organetto si stemperano, così, fra un bicchiere e la volta affocata del soffitto.
Poi si esce. La notte è un nastro nero e lucido. Che si srotola davanti. E io ci cammino sopra. Da sola. Dondolando.



(Getz – Gilberto – Jobim, The girl from Ipanema. Una delle mie musiche)     

Dondolandoultima modifica: 2008-05-14T01:50:00+02:00da
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