Le stanze di Gaia

Sono io il cerbiatto

Ogni scelta è una rinuncia. E ancor più se la scelta è ponderata, sofferta, vivisezionata. Io ci metto ore, la sera, a decidere cosa indossare la mattina dopo; figuriamoci scegliersi una vita. Vuoi qualcosa e scarti qualcos’altro, perché tutto insieme non si può tenere – le mani son due e poi finisce che ti scappa tutto da tutte le parti. Le scelte acchiappate tutte in una diventano perdite e non potrai rimproverare nessuno quando vedrai sbriciolarsi pezzi di te. Sicché io ho scelto. Sicché ho scelto di stare un anno a casa, scrivere le mie grammatiche, vedere la Nina che cresce, avere tempo. Forse addirittura riprendere a girare in bicicletta (questo non credo che lo farò davvero). Ma oggi quando venivo giù lungo gli odiati tornanti io lo sentivo che me ne stavo andando prima di poterli amare troppo, lo sapevo che dopo non sarei stata più coraggiosa, né sufficientemente libera per farlo, per andarmene. Mentre scendevo giù veniva via con me la collanina col ciondolo a cuore e i brillantini azzurri: “Perché non si dimentichi di me, prof”; una collanina consegnata così, sul suono della campanella, arrotolata in una mano, in mezzo al pieno degli zaini e al vuoto di parole. Occhi trasparenti e chiari che io giorni fa avevo invitato i maschi sbruffoni a guardare, da quanto erano belli e spauriti; no, meglio: belli perché spauriti. Allora mentre guidavo dentro il sole e stropicciavo gli occhi, ho ripensato al salto del cerbiatto o al perfetto equilibrio dell’airone sul sasso, e ho capito che scegliere è sempre una merda. Ma va bene, si fa, è giusto. Perdo delle cose, che non sono soltanto quei quattro soldi mensili, ma soprattutto il codino buffo del bimbo di prima o la domanda “Prof, fammi un sorriso” ripetuta ogni giorno dal primo banco. Rinuncio a far saltare i ragazzetti sulla seggiola mentre leggo Barbablù o racconto film dell’orrore sentendomi in colpa perché sto usando il mio solito vecchio trucco dello spavento, i primi giorni. Perdo i volti del treno, lo spiarsi di vagone in vagone, il timidamente riconoscersi al treno dopo e le parole sulla focaccia di ceci o i tramonti metropolitani. Ma scelgo. Salto. Giù. Dal treno. Sono io il cerbiatto. Così ritrovo la mia città, gli spazi che amo, lo smog che mi rende viva, le ore a scrivere, e presto vestiamoci che si va all’asilo e un paio di teglie in più di gratin patate e funghi. Ho rinunciato a qualcosa che amo per qualcosa che amo. E da domani inizia un nuovo anno. Il primo ottobre si riparte, un po’ come quando andavano a scuola i nostri genitori col fiocco al collo e il grembiule nero. Non lo so proprio, io, se questo nuovo anno sarà meglio o peggio. Sarà diverso, quello sì. E a me manca solo di starlo a guardare e muovermici dentro.

Sono io il cerbiattoultima modifica: 2009-09-30T16:29:00+02:00da
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