Le stanze di Gaia

Viaggio

Mi piace leggere chi scrive di viaggio. Vicino, lontanissimo, di due giorni o un anno, che importa. Ma mi piace sempre quando leggo di qualcuno che piglia e va da qualche parte. Magari durante il viaggio incontra qualcuno, rivede degli amici che non vedeva da tanto tempo, pranza con persone nuove, si ricorda di sé oppure piuttosto se ne dimentica del tutto. Ma prendere fiato e andare. Spalancare gli occhi intorno. Tirarsi dietro una valigia. Sentirsi soli. Stare bene di quel sentirsi soli. Per questo ho amato quanto hanno scritto quelle due, una rossa e una mora. Entrambe due donne belle e terrene, come garbano a me. Di quelle che puoi uscirci e andare a bere vino e ridere tutto il tempo e intrampolare sui tacchi insieme. Di quelle a cui vuoi bene anche se vedi poco o magari anche mai. Di quelle che l’hanno fatto, nella loro vita, di andarsene via in qualche luogo del mondo lontano da. Ma poi sono tornate.
Ho sempre amato di me, anche, la capacità di partire e poi starmene da sola; ovunque. Mi piace sempre il treno. Mi piacciono gli aeroporti – quanto son tristi, gli aeroporti; quanto son belli. Ho sempre pensato a quel paese perso nel nulla là nel Vermont come un bozzolo, un’arnia sospesa e spaventosa ma perfetta, nella sua lontananza da tutto, nella sua estraneità. Camminare per quelle strade nel caldo umido delle due, entrare nei negozi con le campanelle alla porta, bere caffè lungo, guardare il fiume là sotto, guardarsi la pelle allo specchio affumicato del bagno comune, sorridere sempre. Bere tanto. Giocare a poker. Spiegare Montale. Piangere. Telefonare a casa. Mangiare bagel con salmone e formaggio.
Mi piace quando scendo in stazione e salgo su un treno e dormo in una casa che non conosco. Le buonanotti dette sulla soglia dell’imbarazzo e dell’affetto. E la meraviglia di prendere la metropolitana in una città che si ama, uscire fuori in un posto che non conosci ma sembra comunque bellissimo sotto l’acqua, gli ombrelli, le foglie e tutto quel tempo in mezzo che è passato.
Sicché penso a Londra come a qualcosa del genere. Avrò nove giorni. E una città che non ho mai annusato. Serviranno gambe buone, memoria e una borsa grande. Ci sarà sempre un caffè nel bicchiere di cartone dietro qualche angolo. La musica – quella – spero di trovarla lì.  

Viaggioultima modifica: 2010-02-08T13:30:57+01:00da
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