Le stanze di Gaia

Un vestito stretto

Quando son qui mi succede sempre di sentirmi dentro a un vestito stretto. Sgomito, mi stiro il collo, ho il fiato corto. E mi fa male questo senso di non corrispondenza. Il freddo che mi tortura, facendomi provare un acuto senso di colpa, e il passato che m’acchiappa, le vecchie foto, la vicina, l’amato gatto, le mattonelle variegate per terra. Mi piace uscire fuori sul terrazzo, quello sì, e vedere il panorama che ho visto per trent’anni; respirarlo. Montagne basse, alberi, l’abbaiare dei cani, il sole da prendere sulla sedia bianca e le gambe nude. Il fuori mi spaventa. La città è un buco, le persone le guardo e non le riconosco, l’accento non mi sembra il mio; ma lo è. Desidero fortemente la casa col terrazzo sui binari. Penso al gracchiare dei treni con l’intensità che si riserva agli amori lontani. Sto male a pensar queste cose, a dirle. Poi però dopo un paio di giorni mi passa. Mi acclimato, mi riaccomodo. Mi sistemo qua dentro, mi scavo una tana, cerco di non rivedere nessuno che conoscevo, ripercorro le strade che amo – se posso col finestrino aperto, e con la musica, come stasera. Così ripiglio a respirare. Allora posso uscire e andare dalla mia amica che domani parte. Poi tornare a casa col gelato del Monterosa sul sedile dietro, passare per via di Bigiano e come al solito pensare a quella volta che c’erano tutte quelle lucciole e a quell’altra dei fuochi d’artificio – quella manciata di episodi memorabili della propria vita, fatti di nulla. Infine rientrare, mangiare la pizza di babbo e mamma, essere antipatica e sgarbata come lo si è solo coi propri genitori.
Questo posto in fondo sono io. Ma riconoscerlo, ogni volta, è così faticoso.

Un vestito strettoultima modifica: 2010-05-01T21:49:00+02:00da
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