Caetaninho

 

caetaninho.jpgIl tramonto sopra l’Osmannoro è rosa e luminoso. Pare un altro posto, un altro sfondo mentre si va in macchina a sentire Veloso e si prova a dire ma guarda che bella la periferia, queste file di pini e tutto muto intorno e le sparute persone sedute alle fermate che spalancano gli occhi quando accostiamo la macchina. Piegata a cambiarti le scarpe nel parcheggio, ti viene in mente che non sai cosa aspettarti dalla serata, che umore predisporre e come indossarlo. Ma la strada che porta alla villa è bella da fare a piedi, stretta fra muri di pietra e con grandi alberi gonfi, scuri, rotondi, che aspettano laggiù in fondo. Prima del concerto c’è tempo e noi ce lo pigliamo. Sull’erba si può parlare, abbracciarsi, scambiarsi libri, non fare fotografie, osservare file, camicie bianche e caftani neri. La sera intorno è calda, profuma di cibi esotici mentre ecco troviamo i nostri posti.  

Quando Caetano arriva, non è molto diverso da un concerto di amici del liceo: gente ancora in piedi che deve trovare il posto, molte birre strette fra le mani, musicistini giovani e lui che cammina tranquillo, sorride, si prende i flash in faccia – ma che gl’importa – e attacca. Suona, canta, fischia, compie accennati passi di danza, svirgolate leggere di samba. Ride. Il gruppo dietro suona duro e compatto, la batteria picchia colpi da parata militare, corteo di carnevale o banda di paese. Rotaia di treno che va. Il basso e la chitarra sono un muro elettrico. Lui ci canta appoggiato su. Se lo gode tutto. Poi si sposta da una parte e dall’altra del palco con la sua chitarra nera e vuota. Sorride. Sorride molto. E’ un sorriso che scioglie, che cura. E s’infila fra le pieghe di quel Brasile che lui stasera presenta come asciutto, scarnificato. La sua voce è una corda che tira, un nastro che vola su. Lui lo prende o lo rende liscio, lucido, altissimo; oppure se lo arrotola tutto fra le mani, ne rivela poco, piano, con la cautela di chi tiene una cosa preziosa addosso. Quella voce che pare sgretolarsi come in Por quem?. Si alternano molti pezzi dell’ultimo album e tanti altri vecchi, lontanissimi. Stralci di teatro, ricordi londinesi. La strepitosa Eu sou neguinha che lui recita fermo, immobile davanti al microfono, ma muovendo le braccia, le mani. Con le dita disegna mondi, ricama sagome d’animali, onde, alberi, amori o chissà. Di parole ne capisci poche eppure ti pare di comprendere ogni cosa, quando lui sorride e si muove così. Un nastro nel vento. Caetaninho nella minuscola polo rossa. Caetaninho dietro gli occhiali per bene. Caetaninho coi capelli grigi.

E ci sono due momenti. Uno è quando lui si siede e piglia la chitarra. Tutto tace intorno. Comincia Desde que o samba è samba. Un cono di luce calda sopra. Fiato trattenuto. Pelle che si arriccia. Una canzone lieve e nella notte salgono su tante voci, specie di donna, che cantano sottili con lui: è una collanina di vetro, sono perline che scorrono fra le dita, gentili e fresche. Poi c’è il momento quando la musica va, le ragazze in piedi sotto il palco ballano, tutto scorre nel buio di quel parco sprofondato fuori da Firenze ed è allora che la vedi. Nel nero, fra le spalle e i capelli e le braccia nude delle persone, passa una lucciola. S’accende, si spenge, se ne sta lì così vicina a te che potresti allungare una mano e prenderla; infatti pensi davvero di farlo. La guardi, rapita. S’accende, si spenge. S’accende, si spenge. S’accende. Va via. 

 

Caetaninhoultima modifica: 2010-07-01T09:56:00+02:00da capecchi
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Un pensiero su “Caetaninho

  1. Ventoso o Veloso che sia, Caetanino sa dir la sua. E ieri sera, in mezzo a ben altra pessima musica, ci ho ripensato più volte.

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