Il parchetto

IMAG0220.jpgNon so dire quando abbia preso ad amare il parchetto fuori di scuola. Forse addirittura due anni fa, nei miei arrivi con gli occhi pesti e le notti insonni sulle spalle. Quelle panchine di legno che mi accoglievano, quando spersa guardavo le facce estranee che mi circondavano; quando aspettavo l’ora di rientrare in classe; quando volevo starmene sola a piagnucolare senza nessuno che mi vedesse. Sicché quando a settembre l’ho rivisto, dopo più d’un anno, ho sentito certo qualcosa. Ma poi non c’ho fatto più tanto caso. Adesso invece è da un po’ che lo guardo, lo annuso, ci vivo dentro. E’ bello quando piove, tutto grigio e slabbrato e gocciolante. La fanghiglia s’attacca ai tacchi, le pozzanghere sfasciano l’erba ed è tutto uno scivoloso procedere a tentoni, per non cadere, caracollare giù. Mi piace quando è buio la sera alla fine delle riunioni e le luci delle case più in là traspaiono di dietro a qualche ramo secco e nero. Le colleghe che sgusciano via rapide dentro le macchine: ciao, ciao, a domani. Ma ancor più mi ci perdo adesso. Che arrivo e ogni giorno c’è un colore nuovo, un albero che non avevo visto, settemila verdi diversi e tutti quei rami rosa. Adesso con questo caldo anomalo e il prato pieno di mamme bambini passeggini cani e altalene che vanno su e giù. Quei pomeriggi che esci da scuola e dici: ehi, guarda quant’è bello questo Central Park. Quelle sere che fai per girare la chiave nella macchina e ti colpisce, con imprevisto anticipo, l’odore dei tigli: ma siamo solo all’inizio d’aprile e infatti l’odore sparisce subito e ti lascia lì così, a chiederti se era soltanto una specie di ricordo. Non so quanto amo quei dopomensa a guardare come mutano le forme degli alberi e le attività dei ragazzetti: d’inverno a rimpiattarsi dietro i cespugli, adesso a stendere camicie nell’erba e rimanere sdraiati sotto il sole per lunghissimi minuti. Passerà anche questo insolito aprile estivo, è ovvio, lo so, ma io per ora me lo piglio. Mi inoltro nei vialetti di là dal campo sportivo, aspetto l’ora di pranzo, regolo l’umore su Tony Bennett o Marvin Gaye e guardo di lontano i ragazzi sciamare qua e là: i prati pieni di zaini, calci, grida, risate, sudore, ciao prof! – i prati d’un tratto deserti. Solo io là nel mezzo sopra una panchina. Amo il mio Central park e sapere che per arrivare a scuola devo per forza passarci dentro mi rende felice. Infatti sorrido, allungo il passo, entro in classe. Oppure ne fuggo, nascondendomi dietro file di alberi lucidi e piste da bowling abbandonate.

Il parchettoultima modifica: 2011-04-07T00:36:00+02:00da capecchi
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