Le stanze di Gaia

Una, tre, cinque persone

Oggi Robba scrive alcune cose. Le sento anch’io; magari con sfumature diverse, con punti di vista appena appena spostati, eppure capisco. La fatica del confrontarsi. La non necessaria mescolanza al prossimo. La sciocca ma incontestabile certezza degli oggetti. Soprattutto l’avere intorno solo una, tre, cinque persone (e non insieme, ma una alla volta). Con cui non ci si stanca e non ci si annoia – e se ci si annoia non è grave perché il tempo si riempie di vicinanza, e basta -, sotto il cui sguardo non siamo deformati come sotto una lente d’ingrandimento schiacciata sul nostro corpo. Le persone che hanno molti amici mi insospettiscono. Provo un istintivo bisogno di fuga dinanzi a chi non ama passare le sue ore camminando solo per la città; o in casa a fare qualsiasi cosa che sia solitudine. Che strano: mi piace la gente, in qualche modo la amo, eppure mi terrorizza e mi sfinisce. E un fine settimana come quello appena passato, chiusi in casa senza vedere nessuno, con davanti cibi già belli e impacchettati nel loro sacchetto di carta marrone o silenziosamente portati da ignoti motorinisti pakistani, beh, è barattabile con poco altro.
Intanto, fuori, il grigio nebbia ottunde vista e sensi. E io mi preparo a fenderlo armata come sono di insicurezze idiote e incancreniti sensi di colpa.

Una, tre, cinque personeultima modifica: 2004-02-16T13:15:00+01:00da
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