Le stanze di Gaia

Diladdarno

Mi scordo quanto mi piace trovarmi diladdarno, se non ci passo per un po’. Odiare Firenze è brutto, lo so; del resto le strade che faccio per arrivare in via Alfani sono davvero oscene. Stazione, pezzettino di via Nazionale, piazza con obelisco, mercato, via Cavour e piazza Brunelleschi mi lasciano un senso di appiccicaticcio e pesante, gente ovunque che m’impiccia e mi schiaccia. I tipi dell’Euroclub che mi fermano tutte le volte; ma davvero tutte. La perla resta Intimissimi, che a metà strada sostenta affanni e ubbìe grazie a colorini e trasparenze.
Poi però capita, come oggi, che devi andare a Ponte a Ema per parlare di qualche antologia scolastica. Così sei in zona Firenze sud e percorri strade in collina e trascolorano ulivi e campagne, vecchie mura, chiesette e piccole tortuosità sconosciute in cui è languoroso perdersi. E mentre torni indietro, dal taxi guardi fuori e Firenze è finalmente grigia e pioviscolosa, così come ti piace, proprio mentre al di là dell’Arno tutto ti sembra più calmo e piano e vissuto. Le strade e le svolte le riconosci, la Nazionale la vedi da lontano, quasi sopportabile allo sguardo. Le strade intorno a San Niccolò ti fanno respirare, ché ci senti le colline dietro, subito sopra. Piazza Santo Spirito t’è sempre piaciuta anche se adesso da dove sei non la vedi; ma ripensi a quanto amavi fare lezione lì e camminare nascosta alla folla e prendere l’Estathè al limone all’alimentari minuscolo ed equivoco. Diladdarno è sempre un’altra Firenze. Una Firenze dove può anche venire il sole e non ti dà fastidio. Perché piomba giù a picco di tra vie strette e poco battute, illuminandole di taglio e con senso della misura. Miracoloso apparire di triangoli di luce non cercati.

Diladdarnoultima modifica: 2004-04-29T19:15:00+02:00da
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