Le stanze di Gaia

Farfalle

Finalmente Firenze è tornata bella, così più fresca e scura. Umida, oggi, dopo giorni di secca. Era quasi fresco da rimettere le calze; ma domani, domani ormai. Insomma dopo questa ritrovata pace con la città – e dopo il pascoliano Chiù – sono andata incontro a un amico. Sotto un impossibile sequenza musicale abbiamo parlato e bevuto, nel locale che da vuoto si riempiva. Quando sono arrivati i vassoi di cibo noi abbiamo agguantato qualche triangolo di schiacciata e siamo usciti. Le strade verso la stazione le abbiamo tagliate in motorino, contro la luce striata di negozi e nell’aria autunnale della sera; ma per qualche ragione sembrava estate e ne ero felice. Forse l’eco del mio Long island ice tea di gusto vermontiano o forse la gamba nuda attraverso il primobuio, non so. Come d’estate, ho camminato un po’ storta verso il treno, mi sono seduta ondeggiante al mio posto, ho appoggiato la testa e mi sono sentita preda d’un tepore morbido e dolcino, buono. L’occhio era di sicuro lucido e vago, alcune farfalle mi volavano nel cervello e la gente insolitamente non mi disturbava. Ho cominciato allora ad ascoltare quel disco di Shirley Horn: di colpo mi sono ritrovata nel salotto di sotto a Stewart, sdraiata sul divano, vestita d’arancione e semiaddormentata, poca gente intorno e i capelli tutti giù giù sulla faccia – la sensazione di fine della festa, dell’estate, di tutto. Piangiucchiavo a tratti, a tratti dormivo. Qualcuno che ogni tanto veniva lì, si chinava su di me e mi diceva qualcosa. Pezzetti di sorrisi o angoli di mani. E le stesse farfalle, ma di più, che mi volavano nella testa.

Farfalleultima modifica: 2004-10-12T00:25:00+02:00da
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