E’ giugno, la scuola sta per finire, in cielo s’apparecchiano nubi nere e grigie. Sotto una pioggia fine e appena avvertibile, proprio prima di arrivare a casa mi rincorrono due alunni, già un po’ uomini, col sorriso da mascalzoni e l’occhio mobile. Fanno gli sbruffoni, sono teneri, mi lasciano il cuore gonfio gonfio di loro e d’altro.
Io intanto ho deciso che oggi una colonna sonora sola non basta. Perché non saprei bene cosa scegliere. Stamattina me ne andavo canticchiando Genova per noi. Quei gamberoni rossi e le facce un po’ così m’intenerivano mentre mi guardavo la punta dei piedi e studiavo le scarpe, per scoprire se erano adatte alla giornata. Di sicuro potrei scegliere anche una manciata di pezzi di Gino Paoli, tipo Vivere ancora o Una lunga storia d’amore; Sassi, magari, perché sono l’acquisto del giorno e ci sono Rava, Rea, Boltro e pezzetti di cuore e jazz: volere di più sarebbe troppo. Ma invece attacca la vecchia Via del campo, che era già una canzone della memoria, di chitarre e voci basse nella notte estiva, con il fuoco e il ferragosto che si smorzavano e quel leggero dolore che si accucciava perbene laggiù, dentro. Infine però se proprio dovessi dirne una, eccola là, che mi accompagna mentre torno a piedi lungo via Indipendenza, incrocio facce e scarpe luccicanti nelle vetrine, molti studenti, un’aria che in qualche modo sa di vacanza: è allora che l’oggettino sceglie per me. E sceglie Holly di Henry Mancini. Sì, certo, da Colazione da Tiffany. Insomma sarà la gonna a grandi sfere bianche e blu notte, quelle pieghe larghe che in una New York anni Sessanta ci sarebbero state benissimo, sarà che certo, perché negarlo, la mia animuccia romantica ci mette poco o niente a crogiolarsi in fantasie da signorina che corre appresso al gatto rosso, sarà quello che volete però io, quella musica lì, l’ho trovata niente meno che perfetta per l’attimo vissuto.
(Holly, Henry Mancini. Colonna sonora per caffè su tavolini all’aperto e signorine in gonna a pieghe)