Credo di aver visto il primo giorno quattro concerti di fila, uno dietro l’altro senza soluzione di continuità.
Uno è il quartetto di Roberto Gatto e c’è quel sassofonista che mi è parso James Spader, di primo acchito, ma invece in breve si è trasformato in Claudio prima maniera, poi in Gianca l’amico pianista del Migio e infine, incredibile a dirsi, in Massimo Ceccherini. Mi piaceva stare lì a guardarli, tutti e quattro: i sosia e i musicisti; soprattutto Luca Bulgarelli, perchè mi sono accorta che quando un contrabbassista ride s’apre tutto un mondo che con gli altri musicisti non si apre e non so perché. Nonostante io ami molto i pianisti e nutra passioni adolescenziali per i batteristi e i loro polsi. Nonostante la vicinanza emotiva con i sassofonisti sia per me forte e nonostante i trombettisti siano misteriosi e affascinanti. Quando un contrabbassista ride è qualcosa che non t’aspetti ed allora è davvero bello.
(Roberto Gatto, Traps, da Traps)
Il terzo è Richard Galliano ed è fantastico. Il violinista sul palco è gitano d’anima e John Belushi d’aspetto. Io voglio saltare sulla sedia e battere i piedi per terra e morire di tango. Si agita anche la signorina di lato, che è tutta secca secca e rigida che pare stia in bilico su una tovaglia d’uova. La notte è bellissima, c’è vento ma non è freddo mentre io mi accorgo che ho già visto la famiglia di peruviani accanto a me almeno altre due volte: ad un’Umbria jazz passata e in un ristorante in rue de Lombard, Parigi dicembre 1999, pioggia battente e attesa fremente del nuovo secolo. Adesso invece sono qui, Galliano sfianca il bandoneon e la famiglia m’invita nella sua casa con finestre su Montmartre: credo che andrò.
(Richard Galliano, Fou rire, da Luz negra)
Il quarto è Paolo Fresu. Che è sempre lui.