Le stanze di Gaia

Tango


Questa voglia di tango che m’è presa. Chi lo sa poi perché. Fuori piove, ma non so se c’entra. Certo piove molto; a bordate e gemiti. Frustate di vento che sbattono l’acqua sulle piante del mio terrazzo e sui vetri delle finestre, tutte. Invece io ho voglia di tango. L’avessi mai ballato una volta, poi. L’ho sempre voluto imparare e non l’ho mai fatto. Una volta pensai la stessa cosa del suonare il sax: tre giorni dopo avevo lo strumento fra le mani e mi ero iscritta a lezione. Allora magari lunedì m’iscrivo da qualche parte, chissà. Comunque per supplire alla mancanza di danze e soprattutto di scarpe adeguate, rispolvero Piazzolla. Poi prendo Saluzzi. Se non posso ballare vuol dire che almeno ascolterò. Il che non è male, perché forse ballando non si può pensare mentre io così posso farlo e immaginare tutto ciò che voglio. Il bandoneon spinge, s’inarca, e il violoncello dietro, in mezzo. Ma sì, forse è meglio così: ascoltare, perdersi là dentro, in musiche che s’avvitano intorno al corpo, mischiando aria e battito, sobbalzo della gonna e colpo rapido del piede. Forse ballare il tango è cosa destinata a pochi, inquadrati bloccati in un cerchio di luce, in un cerchio di gente su un pavimento di legno nel mezzo di una città dell’Argentina. Forse non è per noi, che non abbiamo l’occhio bistrato di nero né umori ombrosi da balera. A noi forse ci basta d’ascoltare, lasciando che l’arco del violoncello assesti il suo affondo là dove capita.
Intanto rotolano lunghi tuoni lontani, s’infrangono lampi e la pioggia non smette, ossessiva.

 



 

(Dino Saluzzi e Anja Lechner, Ojos negros. Musica per chi cerca il tango ma non lo sa ballare)

Tangoultima modifica: 2007-10-06T22:50:00+02:00da
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