Le stanze di Gaia

Ultimi giorni

Qualcosa tipo il 29 o il 30 dicembre. Un giorno così, sembra questo. Che la pioggia scende e decostruisce lo sfondo che ti si rifrange addosso mentre guidi e la Nina dietro dorme e la radio manda Peter Cincotti con quella canzone su Philadelphia. Una fine d’anno di regali che si sono accatastati l’uno sull’altro e grida di bambini e carta velina rossa per incartare libri amati; e i bambini sono uno, due, tre, quattro, cinque e se ne stanno lì a contar caramelle o smontare presepi. Un giorno di fine anno per quella specie di magone che si ferma alla gola, quando leggi biglietti e sguardi; quando apri la scatolina e dentro c’è un angelo – come se poi ci fosse bisogno di angeli dentro le scatoline, avendone già vivi, di carne, caffè e case offerte. Ultimi giorni dell’anno con i capelli di Ethan Hawke che cadono giù in mezzo alle bocche e agli occhi, quando se ne sta sopra la minuscola Winona dopo averle detto “Tutti ti amiamo. Io ti amo. Io ti amo anche se mi fai soffrire come un disperato”; epperò prima di dirle “E quello che volevo dirti è che ti amo e volevo assicurarmi che fosse chiaro, che non ci fosse alcuna confusione”. Un giorno di quelli in cui guardarsi il finale di Friends che mancava e trovare tutto molto stupido e forzato, perché proprio non si capisce che diavolo se ne vanno a fare in campagna via da quella casa con l’affitto bloccato, in pieno Village e in pieno tutto.
Intanto la pioggia non si ferma. Accenna sì qualche momento di tregua ma poi riprende, promettendo neve e ghiaccio come ogni buon capodanno che si rispetti. E infatti sì, probabilmente domani si va tutti insieme al supermercato, a fare la spesa per la cena del 31, riempire i carrelli di cibi sciocchi ma necessari, da mangiare senza pensare al senso che possano avere, o a come insieme possano stare. Una giornata di vuoti e di pieni, che si riempie di tutto quello che ci sta dentro e che ti riesce d’infilarci, pur di non pensare che può darsi sì in effetti che non siamo proprio a fine dicembre ma all’inizio del mese che forse più di tutti odi, da sempre.
Ed è comunque la prima giornata in cui ti guardi il ginocchio mentre ti vesti e scopri che la piccola crosta rimasta ancorata lì da chissà quanto e che ogni giorno, incredula, fissavi, non c’è più. Resta però proprio là nel mezzo un puntolino più rosa, un segmento di pelle indifesa, nuova, fragile. Non sai perché ma l’accarezzi con cura e pazienza, attenzione. Amore.

Ultimi giorniultima modifica: 2008-01-03T16:01:49+01:00da
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