Le stanze di Gaia

Purezza

Canta stonato e arriva sul palco come da una specie di altra dimensione sconosciuta. Ha delle sopracciglia strane, che si vedono, e le tiene inarcate all’insù, fra il serio, l’ironico e lo stupito. Ha quei vestiti stretti che gli stanno addosso un po’ così, storti. Eppure appare elegante, là dietro al microfono. Con quei capelli raggiera e gli occhi enormi e la voce che gracchia. Distaccato ma incredibilmente lì, presente, scorticato di fronte a te.
Canta stirando la voce e aggrappando le mani al microfono e uno lo guarda e dice: lui non c’entra nulla. Con lo schifo, con il falso, con il brutto. E’ come se ogni volta che lo vedi ti sbattesse in faccia purezza. Che poi la purezza scaraventata addosso in questo modo ti fa anche male, in qualche misura; perché non è che te l’aspetti. In genere nessuno te la tira contro così.
Canta stonato e stona in un modo che è bellissimo e necessario perché quel pezzo lì come vuoi cantarlo se non così, sgangherato e disperato? Che ti fa vibrare qualcosa in gola quando senti di quell’ultima illusione, che ti ricorda un altro poeta che di ultime illusioni s’intendeva parecchio.  
Soprattutto hai sempre l’impressione, quando lo guardi e anche lo ascolti, che manchino del tutto le difese – a te e a lui.
E l’assenza di difesa è l’unico modo, tu lo sai, per riuscire a sentire sotto i denti quel sapore dolciastro di sangue e pesche sbucciate – che poi sarebbe il sapore che ha la vita quando scorre, meravigliosa e orribile come sempre è.

 

 


 

 

(Francesco Tricarico, Vita tranquilla. Canzone per chi è puro)

Purezzaultima modifica: 2008-03-02T12:25:00+01:00da
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