Le stanze di Gaia

Pastiglia

Pioveva parecchio, stamattina mentre si andava sotto gli ombrelli via da scuola e mentre s’aspettava l’autobus tutti stretti sotto la pensilina. Nulla pareva al suo posto eppure tutto lo era, pigiati dentro il 93 – il caldo e i vetri appannati con fuori la città di una mattina qualunque. Così poi si sta seduti a sentir raccontare di radio e patrimoni Unesco, in mezzo al gracchiare struggente di grammofoni e ricordi. Il tempo si sistema in mezzo a cilindri di stagnola e trombe di metallo, che non fanno altro se non ritardare il momento in cui i jukebox scintilleranno per noi, azzerando l’ininterrotto perforare del martello pneumatico lì accanto. E’ quello l’attimo; è quello. Noi la nostra personale maglia che non tiene la troviamo lì, fra Elvis e Carosone che cantano a perdigola. Acchiappando uno dopo l’altro le mani dei ragazzini, che ondeggiano incerti o rigidissimi, che ti agguantano o ti spingono un po’ in là, che ridono o scuotono la testa ma stanno comunque tutti lì, attaccati alle tue dita, a farti roteare nell’angusto spazio di un museo e di una vecchia canzone che fa: Da tre mesi nun dormo cchiù, quest’ammore vurria scurdà. Gente diciteme comme ‘aggia fa? Pigliate ‘na pastiglia, pigliate ‘na pastiglia, siente a mme”.



(Renato Carosone, Pigliate ‘na pastiglia. Canzone per mattine di grammofoni e ricordi)

 

Pastigliaultima modifica: 2008-03-07T21:53:44+01:00da
Reposta per primo quest’articolo