Le stanze di Gaia

Quando suonavo Besame mucho

Quando suonavo Besame mucho insegnavo ad Anzola e facevo le prove con un gruppo dalla composizione quanto mai improbabile. C’erano addirittura un violino e un oboe. E io mi divertivo tanto, che il violinista era sempre fuori e invece l’oboe e il sassofono filavano via che era una meraviglia e il pianista non era un vero pianista però ci provava e allora dovevi fargli sentire come s’improvvisa. Peccato solo che le mani sul piano tu non sapessi metterle, anche se l’assolo da suonare stava tutto lì, nella tua testa.
Comunque insomma quando suonavo Besame mucho con il sassofono era bello e, come ogni volta con il sax fra le mani, mi sentivo così radicata con i piedi al globo terrestre, così ancorata alla natura, così vibrante, così sporca. Già, il sassofono è uno strumento che non ti lascia le mani e la bocca puliti. L’ancia poi sa di te e l’odore che ti sale su per il naso è completamente riconoscibile ed è fatto di voi due insieme. Ma unico. E le mani  poi sanno di ottone e di saliva perché le chiavi si aprono, si chiudono, veloci, appiccicose, umide come sono. E’ uno strumento dentro cui respiri, che stringi a te, che pesa, che c’è.
Non so davvero cosa diavolo ho nella testa a non suonarlo quasi mai, a lasciarlo lì, incattivito e offeso dentro la custodia. Non lo so. Ma dovrò pure, in qualche modo, farmi perdonare. Perché quando suonavo Besame mucho forse venivano fuori delle armonie un po’ sghembe e delle note storte, va bene. Ma era così pazzescamente bello stare lì sul palco, soffiare là dentro e indossare una gonna nera con le rose rosse.

Quando suonavo Besame muchoultima modifica: 2008-12-09T16:22:49+01:00da
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