Le stanze di Gaia

Un novembre come volevo

 

Io questo fatto che tutti odiano novembre non lo capisco. Invece lo trovo mese straordinario per riempirsi la casa di amici e ascoltare jazz. Questi sono stati giorni caldi, densi; il forno è stato acceso molte volte e il cestino del pane era sempre pieno. Con Joe abbiamo camminato tanto per Bologna, telecamera in spalla e via dell’Inferno. La città aveva un colore grigio uniforme ma ogni tanto spuntavano virgole di rosso, di acceso. Odore di mandarini e pesce in via delle Drapperie. Ci son stati in questi giorni caldi molti tè presi di pomeriggio, le tazze viola e la teiera bianca. Tanti vestiti cambiati; e parole dette, abbracci. Mi piace cucinare per chi arriva, sedermi al tavolo di legno, guardare le sedie rosse nuove e la luce fuori sulla stazione – la Nina che corre; o conta fino a dieci in inglese; oppure magari canta canzoni incomprensibili con strani dialoghi fra animali. In questo novembre caldo son riuscita pure a far mangiare le zucchine all’amica riottosa; addirittura le pere con cannella e miele. Poi via fuori, con lei o da sola. La notte, l’asfalto, la macchina scura che sfiora i lampioni le case la gente dentro i cappotti e le calze scure. Io invece sotto il cappotto non porto calze ma stivali lunghi e alti. Tacco che caracolla e vestito corolla nero. Il jazz ha affondato bene i suoi colpi e io li ho retti tutti. Forse perché non si trattava di Brad, che arriverà venerdì e allora saranno sospiri e perdite di equilibrio. Stavolta ho sentito cantare una donna con una bocca piovra, medusa, pianta carnivora. La sua voce andava dove pareva a lei e giù tutti ad applaudire. Nel microfono si sentiva il tintinnare dei suoi bracciali e io mi son trovata a pensare che quando in teatro si spengono le luci, si fa silenzio e da dietro le quinte sbuca il musicista, allora è uno dei momenti più belli e preziosi. Osservare Uri Caine con la giacca da benzinaio, Dave Douglas col completo marrone da ragioniere e il polso erotico di Clarence Penn, il batterista nero dai denti in fuori, beh, ridisegna il concetto di felicità. Sono nata per stare seduta in una poltrona di velluto e ascoltare le mani delicate di Avitabìl, la tromba bop di Boltro e il groove swingante di Aldo Romano che lavora di spazzola e occhi chiusi, con una classe e un senso del jazz impeccabili. Quando poi arriva la domenica e Bologna è uno straccio umido, la Cantina Bentivoglio ci accoglie calda e gonfia di cibo. Luce bassa e energia compressa. George Colligan porta un cappello di lana che poi si toglie. In tutto sono tre, stanno a un metro da noi e suonano scivolando su rotaie rapide. Il batterista suda eppure ha un’attitudine da principe ereditario anche quando si asciuga il sudore con tovaglioli bianchi. E’ un novembre come volevo, come da tanto non vivevo più.

 

 

(George Colligan trio, So sad I had to laugh, in Come together. Musica di un novembre caldo)

 

 

Un novembre come volevoultima modifica: 2009-11-09T11:03:00+01:00da
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