Elastico

Il tempo. Che stupido elastico. Lo tiri lo tiri lo tiri e non basta mai. Oppure si strappa. Al tempo io ci penso sempre; ma soprattutto in questi ultimi giorni. Che sono stati strani, come congelati. Giorni di addii scivolati via così, quasi come se tutto fosse indifferente. Nessun dolore, nessuna lacrima, nulla. Ma, ecco: come si può salutare la propria infanzia e gli scogli affrontati con i brutti sandali di plastica trasparente? Come si può salutare qualcosa che comunque era già finito – o quantomeno lontanissimo? Distanze vertiginose, siderali, ti spingono indietro o in avanti, non si sa, fino a farti sentire di plastica, trasparente come quegli idiotissimi sandali di bambina. E se sei plastica, tutto ti scivola addosso; e ciao. A volte infatti è meglio restare così, guscio immobile di indifferenza: non ti accorgi quasi di nulla, le ere finiscono e tu non eri lì per vederlo.

Poi però basta un battito di ciglia e ti si scrollano di dosso i gusci, la plastica e l’immobilità. Basta un compleanno, basta una pagella, basta l’America che continua a tornare e ritornare e ritornare, basta la pioggia quasi neve che tutto scioglie sopra i nostri giacconi bagnati, basta la consapevolezza che i minuti che hai, le manciate di secondi cui ti aggrappi, non servono a niente. Allora torna a farti male tutto; anche la faccia, i denti, le ossa. Non sai se è un male bello o brutto. Certo però un moment hai dovuto prenderlo per davvero, mentre disegnavi vasi di fiori, rettangoli e nuvole. Non basta nulla. Mai, mai, mai. Dov’è tutto il tempo che mi serve? Chi mi restituirà tutte le ore perdute a fingere di interessarmi a qualcosa che non mi interessava affatto? Come si fa a ricordarsi tutti gli argomenti di cui volevamo parlare e di cui non abbiamo parlato? Come si fa a pensare in termini di anni quando è questa l’ora in cui si vive? Ed è sempre uno struggersi di fronte al tutto che precipita e tu che non trattieni nulla – ti pare, ti pare – e ancora la quasi neve, fuori, a segnare un altro momento che è passato.

Sono giorni di canzoni italiane e lupe. Clizie intraviste fra i banchi e versi imparati a memoria. Ascolto Fossati e ogni volta la sua voce mi va a strappare qualcosa in fondo in fondo; me ne dimentico, lo riascolto e via, di nuovo lo strappo. E lo so che lui ha ragione, che è vero che c’è un tempo per seminare e uno più lungo per aspettare. Lo so che c’è un tempo perfetto per fare silenzio e anche quella volta che era meglio parlarci. Ma allora perché quando canta c’è tempo, c’è tempo, c’è tempo, c’è tempo a me sembra invece che mi si accartocci un pezzo di stomaco? Cos’è quella mano che mi stringe le viscere in una morsa? Non si sa. E non si sa cosa succederà domani, tra un’ora, adesso. C’è da vivere; c’è da fare finta che ne abbiamo tantissimo, di tempo; o forse invece c’è da dirselo, quanto questo sia breve e quanto a noi interessi custodirlo, allungarlo, modellarlo, aspettarlo.

Elasticoultima modifica: 2023-01-20T18:33:01+01:00da capecchi
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