Questi alunni

Ho un alunno tutto spettinato che quando risponde alle domande non smette un secondo di torturare la manica della sua camicia, proprio all’altezza del polso; eppure va avanti e dice tutto quello che c’è da dire. Poi lo mando a posto con il voto e lui mi dice: “Grazie, gentilissima”. Un altro mi fa i giochi di carte a ricreazione e mi lascia sempre appesa a un altro trucco, mentre ride con gli occhi chiari e rimette a posto l’asso di mattoni (“Quadri” – precisa lui – “Ma va bene, da adesso lo chiamiamo mattoni”). La bimba bionda e riccia con gli occhi grandissimi saltella alla cattedra e mi dice che voleva venire volontaria: “Ma lei mette molto in soggezione, sa?”. E nel momento in cui lo dice rende evidente che invece in soggezione mica ce la metto tanto. Comunque io quella mattina mi ero messa delle scarpe con il tacco alto e l’aspetto austero, apposta per fare impressione; sicché facciamo finta che abbia funzionato un po’.

Questi alunni con la mascherina in faccia me li immagino tutti in modi che poi loro sconfessano quando, prima di interrogarli, chiedo loro di abbassarla per un secondo e farmi vedere il resto del viso. Così mentre  mi spiegano l’amore per gli stilnovisti io posso guardarli attraverso. Sono tutti bellissimi, ve lo giuro. Hanno quella cosa addosso stazzonata e inconsapevole che li fa brillare. La giovinezza, dico. E una sprezzatura gentile nei modi, uno sguardo diretto cui non ero abituata, un modo di sorriderti da lontano e agitare il braccio mentre te ne vai da scuola col finestrino aperto e la musica a palla – la tua anima tamarra impossibile da cancellare – un modo, dicevo, che ti fa sciogliere e poi tornare a casa col sorriso, sempre, da un mese a questa parte.

Non mi ero resa conto di avere così tanto bisogno di loro e della loro età. Per i ragazzini delle medie sei una dea, una divinità onnisciente e onnipotente, il cui volere indiscusso e infallibile li irretisce e li rende sudditi ubbidienti e grati. Per questi, no. Per loro sei una prof. Punto e basta. E ti guardano per quello che sei, qualcuno di cui fidarsi o meno; che sa più di loro ma aspetta vediamo un attimo; che può rispondere a centomila domande sulle donne di Dante e allora un momento, quel “convien” che usa Cavalcanti quando parla d’amore è una specie di determinismo? Chiedono cose così, che ti lasciano di stucco. Oppure ti raccontano che ieri uno di loro non ha capito il senhal provenzale usato per nascondere la vera identità di una fanciulla. Poi mettono nella playlist d’amore Ernia ma anche Louis Armstrong. E siccome non sei più una divinità ma una persona di carne e sangue, adesso ti fanno uno strano effetto parole semplici, gli sciocchi quotidiani dolori di tutti: “e ora a volte mi scrive, una faccina che ride nelle conversazioni”. Ahia, che male.

Questi alunni hanno spalle più grandi se sono maschi, unghie più lunghe se sono femmine; e bevono il caffè della macchinetta, proprio come te. Un dettaglio non da poco.

Questi alunniultima modifica: 2021-10-15T12:03:54+02:00da capecchi
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3 pensieri su “Questi alunni

  1. “Hanno quella cosa addosso stazzonata e inconsapevole che li fa brillare. La giovinezza, dico. E una sprezzatura gentile nei modi, uno sguardo diretto cui non ero abituata, un modo di sorriderti da lontano e agitare il braccio mentre te ne vai da scuola col finestrino aperto e la musica a palla – la tua anima tamarra impossibile da cancellare – un modo, dicevo, che ti fa sciogliere e poi tornare a casa col sorriso…”
    Come ho già detto altre volte, hai un modo di scrivere superbo, tra i pochissimi in grado di rivaleggiare col mio… (e, notoriamente, sono modesto). Non per niente, ho immesso un tuo ‘tralcio’ nel mio romanzo (premiato). Chapeau! (My blog is “Dal caos la stella danzante” https://stelladanzante-nike.blogspot.com/

  2. E’ incredibile, seguivo alcuni miliardi di anni fa, dieci, quindici? questa accurata osservatrice di mondi e non so cosa mi attraesse; la immaginavo maestra fra bimbi con un cappello elegante e un morbido paltò, geniale nel guardare, madre di una piccola figlia, in una città nota, conosciuta a quel modo solo da lei, e mi piaceva il modo in cui le piaceva la musica, e il modo in cui amava essere maestra. Poi per tutto questo spazio siderale non ne ho saputo più nulla, ogni vita rotante per altre galassie, ma da qualche giorno – perché non si sa – è balzata alla mente – con gran desiderio – la domanda: esisteranno ancora stanze di Gaia? Saranno esse aperte al viandante e sarà sempre bellissima la maestra? E si, scopro che la gaia scrivente c’è ancora ed è bella e in un tempo così, dove ogni sentiero pare disperso e i saggi hanno lasciato, è bello ritrovare la voce che conoscevi e che ti piaceva sentire, ruscello d’acqua fresca dove solevi fermare alle volte il passo e stare a sentire. Canta Le Stanze di Gaia. Scorre un tempo strano e occorre quel canto.

    • La Gaia scrivente c’è ancora; ma poco. Mi sembra sempre, ogni volta che scrivo, di sfidare qualche sussiegoso dio del pudore, che non vorrei svegliare.

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