I filtri

I filtri – tu dici – nel bene, nel male, e nel mezzo, ce li abbiamo tutti. Quegli schermi che ci sono tra noi e gli altri. Quelle lenti attraverso cui guardiamo il mondo. La nostra protezione, la nostra sicurezza. I nostri errori. Perché già, i nostri sbagli più clamorosi s’incastrano proprio lì, in quelle piacevoli gabbie in cui ci rannicchiamo, in cui crediamo di sapere tutto, in cui tutto ci è di conforto. Quello che indossiamo e che ci serve per leggere gli sguardi, le parole (o per nasconderci da); quello cui ci stringiamo per non soccombere sotto ciò che non sappiamo. Tutto quello che è necessario trattenere, di noi, per non perderci nell’incomprensibile e misterioso agire del prossimo. Tutti ce li abbiamo, questi filtri. Allora dimmi il tuo filtro che io ti dirò il mio.

Ma con me è facile. Lo sanno tutti che ho il cuore duro come un panetto di burro. Sicché tutto passa di lì: penso sempre che gli inconoscibili altri vivano d’intenzioni nobili, di purezze evidenti; e di sincerità. Così finisce poi per ferirmi un po’ tutto. Ma veramente: tutto. Anche se, quando mi guardi – per quanto tu mi guardi –, troverai sempre un sorriso da qualche parte. Ma prova a scavare più a fondo. Troverai altri filtri, e sottofiltri, e minuscole infiltrazioni di filtri; e poi laggiù – sotto il cappotto fuxia e gli anfibi e la gonna di raso nera e i capelli lunghi e il rossetto rosso e sotto Leopardi e sotto Machiavelli e sotto le mie gambe che ballano swing e sotto l’America e anche sotto le risate e sotto le eresie in macchina e sotto la mia positività quasi sfrenata e sotto tutte queste parole – laggiù, dicevo, forse, troverai me.

Con gli altri è più difficile. Ma possiamo provarci, a smontare pezzo per pezzo qualcuno di quelli cui si vuole più bene. E vedere cosa ci resta in mano: un occhio, una rotula, un pezzo di cuore, il respiro, il cervello, la mano, la bocca. Per esempio ci sono quelli che quando guardano gli altri alzano sempre il sopracciglio del sospetto: non si fidano. Hanno quel filtro lì: la diffidenza. Solo che poi quando non innescano il filtro: aiuto. Restano travolti ma anche ti travolgono, un po’, perché allora tu pensi: ma vedi? Poi ci sono quelli che ci mettono l’ironia, lente suprema di conoscenza e suprema protezione dai mali del mondo. Funziona? Funziona. In quale direzione? Da loro verso il mondo o dal mondo verso di loro? Entrambe. A volte comunque soffrono loro e fanno soffrire, molto, gli altri. A volte si fa fatica, con quelli lì, ad arrivare all’osso. Invece quelli cui vorresti dire “strappa via questo filtro!” guardano sempre tutto da un punto molto basso, e loro sono piccini, un po’ inutili, se ne stanno a osservare quello che sembra enorme e migliore di loro e sempre bellissimo. Loro davvero, sì, sbagliando tutto. Perché gli altri non sono mai né più alti né più belli né più utili di loro. Anzi, spesso, proprio il contrario. Ah, le arrabbiature che ti prendi con quelli lì. E poi quelli che ne mischiano un paio o tre, insieme, di filtri. Che ancora devi capire o devono capire loro. Tipo un’orgogliosa consapevolezza di sé (di una parte di sé), un senso di unicità lucidamente posseduto, conquistato; insieme però al finto distacco dell’insicurezza – tenuta a bada ma sempre lì, sotto traccia, presente in certe domande sbucate fuori improvvise, appena sotto il limine della coscienza. Ed è questo che li fa diventare improvvisamente interessanti: ti spiazzano, nei loro contrasti. Ti commuovono, quasi. Ad eccezione delle volte in cui vorresti invece prenderli a schiaffi. A ciò si aggiunge il filtro dell’analisi, che a tratti diventa così minuziosa da farli smarrire, deviare: si perdono. Devono essere così riacciuffati e rimessi sulla via dimenticata. Indirizzati, curati, in certo modo protetti. E gli stessi sono anche dotati del generoso filtro della pazienza. Strano, no, insieme all’orgoglio? Eppure sì. Quell’attitudine all’ascolto e alla tolleranza; alla messa in gioco di ogni prospettiva altrui – magari poi te la sbriciolo, la tua idea, ma intanto tu parla, dimmi, ti ascolto. Tutto va, mischiato insieme, ma tutto stranamente ordinato. Dal di fuori.

Insomma non si sa. Quello che si mette in mezzo fra noi e gli altri è indecifrabile o forse comprensibile solo alla fine. Resta che il bello sta proprio qui: godersi il viaggio e tentare di raccapezzarsi in mezzo a milioni di falsi indizi e tentativi di schermo. Del resto, non siamo nati per giochini matematici che danno risultati precisi, noi. Meglio piuttosto provare a indovinarci, fra un depistamento e l’altro. Tentando, se riusciamo, di non farci troppo male.

I filtriultima modifica: 2022-12-21T18:38:04+01:00da capecchi
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