E’ il 21 o il 22 dicembre e credo siano quasi le 4. Ma il lavoro è finito. Chiuso. Non è che sappia ben bene cosa ho scritto, nelle ultime ventiquattro ore o trentasei. Ricordo parecchie subordinate e molti gatti e Paolo e Giacomo e Roberta e Sara e insomma i primi nomi che mi venivano li pigliavo e li buttavo là dentro, nelle frasi da analizzare. Minimi fatterelli di vita privata sbriciolati nel libro e ipotesi e modi e scopi e cause e momenti. Tutti frullati insieme a macerare – e chissà che ne uscirà.
Epperò non è che intanto non mi fossi accorta. Perché fuori c’era un autunno bellissimo, che ormai nessuno si ricorda più; e di qua si vedevano cieli di scarsa tempesta, striati di giallo e marrone; e scricchiolii sotto i piedi mentre s’andava da scuola al bar – ma anche poco al bar perché nelle pause c’era da scrivere. E’ c’erano tante cose che non vi ho detto, come quelle notti che ero sola e m’asserragliavo quassù e il buio batteva più forte e cercava di farsi strada ma poi tanto io mi cacciavo sfatta nel letto e tiravo la coperta sopra la testa – e lui, quel buio, mica mi prendeva. Poi c’erano molte risate e grida e prove da sganasciarsi, a scuola – la vita che intanto lì, almeno, scorreva, ti ricordava che c’era, ma concentrata in un pugno d’ore che sparivano leste dietro l’ora di pranzo. C’erano pure parecchie piadine consumate davanti a Dawson’s creek, che per la miseria non so nemmeno com’è finito perché quella sera lì mi pare si scrivesse di subordinate oggettive e allora devo aspettare per sapere se quella scassapalle di Joy ha scelto legno-bazzuto-Dawson o sorriso-che-scioglie-Pacey Witter (e guai a chi mi rivelasse qui l’arcano). E tutti i sabati che ero quassù, quelli, non ve li sto a dire, perché intanto voi chissà dov’eravate persi avvolti impacchettati nel vostro dicembre – che vi voltate ed è già gennaio. E tutte le mattine che la tangenziale alle sette e trenta aveva una sua strana ma certa poeticità inspiegabile, col sole rosso alle spalle che si sfaldava sulla città. E non lo sapete, no certo, che una notte ho sognato Paolo Conte e che poi ve lo racconterò per bene e che anche ho avuto qualche idea estiva sulla Pennsylvania e su una più vicina Monaco, per concludere l’anno. Perché intanto il cervelletto frullava e frullava, anche rinchiuso, anzi proprio perché. Mentre mi s’infrangevano addosso i dischi commissionati e la gente liquidata in pochi minuti e quel giorno che ho perso (o guadagnato) tempo andando a Firenze per parlare non si sa bene di che, ma di certo dell’America. Oppure il lusso di portar giù la spazzatura, una domenica sera, e inghiottire sorpresa il freddo nuovo e l’odore della pizza che cuoceva nel forno e inspirare bene, bene, bene, per sentirlo – l’inverno. E nel frattempo si è disteso il Natale tutto bello per lungo sui giorni e le settimane e mi son pure dovuta sorbire i discorsi di chi il Natale no, che noi il Natale per carità, i discorsi del Natale, le luci del Natale, i regali del Natale noi li detestiamo e c’annoiano. Invece la noia la sentivo che grondava, sì, ma proprio dalle vostre bocche, voi che stavate lì a lamentarvi invece di vivere e alzare il naso per l’insù e provare a trovare una luce che dondolasse e gettasse un morbidore sopra le vostre teste. Io il Natale invece lo amo, mi ci perdo e mi c’avvolgo tutta – carta, cioccolata, luci e musiche. Ché se quando mi muovo sento il frusciar di nastri e lo scartoccìo di pacchetti è meglio. Infatti qui la casa ha preso il suo soffuso respiro di Natale, io gliel’ho dato, che diamine, anche se c’era da lavorare. E allora c’è un albero, piccolo, e vero, che tra un po’ perderà gli aghi ma ora no, e ha pochi ornamenti rossi e argento e sta lì nella stanza piccola dabbasso, insieme a una manciata d’altre luci che scintillano. E tra poco scenderò e – clic – spengerò quelle luci e forse inizierò a dormire e magari mi sveglierò domani tardi, pensando a cosa devo scrivere e trovando invece da scrivere niente. Allora mi laverò i capelli e deciderò d’uscire dove fuori c’è Bologna e le strade e il Natale che sgomita insieme alla gente e mi sembrerà tutto bellissimo e confuso; e tornare a casa prima di cena, piena di pacchi, con qualche disco nuovo fra le mani e l’albero ancora fermo lì, mi sembrerà caldo come una specie di sciarpa che non ci si vuole togliere anche se non si ha più freddo.
Nel baluginare natalizio, ritorno
Nel baluginare natalizio, ritornoultima modifica: 2003-12-22T04:15:20+01:00da
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Ci sono volte in cui senti che c’è “sorellitudine ” ma non te la spieghi, non sai il perchè. Con te così fù. Poi scopro che anche tu sei posseduta dallo spiritello del Natale, il mio beneamato divino arcano ispiratore, e molto si chiarisce. Io sono felice che tu sia tornata. Non lieta, nè contenta. Felice. E questo pure lo metto sotto l’albero, insieme agli altri doni.
Val
che bello che sei tornata. auguri. e tra l’altro sei l’unica che può risolvermi un dubbio che mi accorgo di avere: mario continua, inesorabile, a mangiare transitivamente la mela?
bene. (robba)
g r a n d e. brindisi. (kk)
bentornata, Gaia.
p.s. (col buio che batte forte uso anch’io lo stesso trucchetto)
Beh, grazie. (Gaia)
adesso è un po’ più natale. [sere]