Accappatoi azzurri o forse coperte

Non parla mai – raro pregio per un artista. Sale sul palco, con la giacca e magari la cravatta, si siede davanti al pianoforte, s’incurva sui tasti, avvicina i baffi al microfono e inizia. Gracchia parole e musica. Sta lì, nel mezzo del palco, con dietro i fiati e le chitarre e la batteria e anche un coro di strabilianti cantanti nere e non dice una parola. Per tutta la sera. Canta e suona. Basta. Ogni tanto un grazie. Uscito fuori quasi a forza. Scroscio d’applausi e lui niente, muto. Canta, però. Ti apparecchia davanti quelle atmosfere scomparse che ti piace immaginare ancora qui, grondanti dai palchi, giù, giù, dalla galleria attraverso il quarto, terzo, secondo, primo ordine, giù giù fino alla platea, agli spettatori dell’ultima e della prima fila, che restano tutti attaccati, immobili, alle loro poltroncine rosse, impregnati di qualcosa che non sanno dire – la malinconia, forse. E sfilano via chitarre tzigane e bandoneon parigini e sassofoni americani del vecchio sud e voci raschiate di fumo e un pianoforte che brilla, là, solo. Tutto si confonde e urge e spinge e preme, incalza, ti strappa via con il suo pieno di passati giorni e strade scure in salita e finestrini umidi e ignobili osterie e parole morsicate lungo pensiline di stazioni affogate nel nulla. Tutto t’arriva insieme, a graffiarti e carezzarti la faccia, la pancia, gli occhi, i nervi che hai – tutto col suo dolorante ritorno di gratuità. Di necessarietà. E ti ricordi che c’era un “incantesimo sublime” ma soltanto nel buio, c’erano “abissi di tiepidità” crudeli e lunghissimi, c’erano “accappatoi azzurri” o forse coperte, inzuppate di milonghe e rumbe, di swing e tanghi che scorticavano i piedi a forza di girare – a vuoto. Era un tempo senza ore e minuti. Una vita senza giorni e facce. Solo una vita. Una delle tante. La canta lui – quell’una delle tante vite – sotto il cerchio di luce da cui non riesci a distogliere gli occhi. Magari biascica qualcosa tipo “penso di credere che finirò sempre di vivere di te” e nonostante il “parapunzipunzipunzipun” che segue non sai perché ma a te non viene affatto da ridere. Accade anzi che ti ritrovi a stringerti forte nelle braccia, conficcando le unghie nella carne, rigando il viso di quelle che diresti lacrime, mentre ti accorgi che musica e parole vanno a scardinare ripostigli che tenevi serrati. Intanto lui non parla. E questo peggiora le cose. Perché quando uno parla, sì, ti distrae dalla musica – almeno. Perché i musicisti che parlano sono terribilmente seccanti e noiosi e inopportuni. Non ti lasciano pensare né arrovellarti nelle tue personalissime turbe, che ti piace alimentare e coltivare – altrimenti, è chiaro, non saresti lì. Lui no, lui non lo fa. Lui non parla. Canta e suona. E strappa via lembo a lembo pezzi di te, se li rimastica nel fruscìo fischiato dei baffi contro il microfono, te li restituisce ripuliti e scarnificati: ecco, ho finito, riprenditeli pure – tanto ormai ho mangiato tutto. E intanto non ha detto una parola. Ha solo cantato, e suonato. E i musicisti dietro.

Accappatoi azzurri o forse coperteultima modifica: 2003-10-12T14:10:00+02:00da capecchi
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8 pensieri su “Accappatoi azzurri o forse coperte

  1. Bello. E un po’ off topic, sai, ho appena scoperto che il 10 Novembre ci sarà un concerto di Ennio Morricone al Royal Albert Hall di Londra. Morricone e John Zorn sono due tra i migliori compositori da film che conosca. Degni eredi di Miles e Bill. [Ja]

  2. “…Forse un giorno meglio mi spiegherò”, dice lui. splendida maniera di rimandare le cose da dire a momenti più adatti di quanto può esserlo un concerto. e splendido post.

  3. Condivido: incantevole la timidezza del musicista. Quando ne sento uno che indulge in battute nonposso fare a meno di immaginarmele declinate in inglese, francese o bolzanino. (qwerty)

  4. … e comunque a me talvolta è capitato, dopo un “mi sono innamorato di teeèè” di udire un “pe-pe-perepee èè”. Un contrappunto di kazoo spesso è il migliore commento per molte cose della vita, Conte lo sa bene. (qwerty)

  5. “Un contrappunto di kazoo spesso è il migliore commento per molte cose della vita”, dice Qwerty. Ah, sì. Quanto è vero. (Gaia)

  6. Ricordo momenti in cui Paolo Conte sembrava dirmi tutto quello che dovevo provare, tutto quello che potevo provare e tutto quello che era giusto provare.
    Me lo hanno fatto scoprire anni fa, quando credevo che le sue canzoni fossero maschili e le sue atmosfere pronte per i rimpianti di chi vuole rimpiangere. Pensavo che il suo successo fosse legato soprattutto alla benevolenza dei francesi che avevano visto in lui l’ennesimo esempio italiano dell’impossibi lita’ di essere profeti in patria.
    Oggi i francesi mi interessano molto meno e Paolo Conte continuo ad ascoltarlo. Continuo anche ad emozionarmi quando ascolto “Via con me”.
    Probabilmente è da sciocche e scontato, ma quella canzone mi fa spesso rimpiangere, così, senza motivo, senza che ci siano rimpianti reali, così tanto per potersi immalinconire di probabili amori perduti. E’ una canzone fatta per questo no?
    (Gaia M.)

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