Solo i Radiohead

Da giorni ascolto solo i Radiohead. Continuamente. Tutta roba che non conosco. Che non conoscevo, voglio dire. Ho messo via The bends e anche Ok computer, ascolti così noti per non essere troppo, adesso. Li ho messi via e mi sono disfatta dentro Kid A ma anche Hail to the thief e pure In rainbows. Non importa che ci trovo dentro. E’ comunque uno spazio dove perdersi. Canzoni necessarie, talune bellissime, lunari, liquide e sospese, argentee, oppure inascoltabili, troppo rumorose, magari ripetitive, incomprensibili, frastornanti. Ma tutte fanno parte di me adesso. Mi entrano dentro. E’ proprio come se quella roba che fanno, che non so se è musica o boh, mi entrasse nella testa, all’interno del cervello e lo facesse slabbrare, esplodere, magari implodere. Sono suoni che si incastrano alla perfezione con il nulla. Oppure con il troppo pieno. Sono suoni che ti strappano via da tutto proprio mentre ci sei dentro, in mezzo. Sono luci intermittenti dentro il cranio. Accesa. Spenta. Accesa. Spenta. Spenta. Spenta. Accesa. Solo questo voglio. Solo ora capisco Mehldau. Solo ora ne capisco l’ossessione. In ogni disco una. Dal vivo sempre un’altra. L’ha capito anche lui, l’ha capito, Brad; e infatti quando suona Paranoid android per diciannove lunghi minuti dal vivo a Tokio potresti pure impazzire, per quanto ne so io. Sono musiche che hanno braccia e mani e forse radici che si allungano prima piano e poi forte, con prepotenza morbida e definitiva, dentro tutte le fibre del corpo, ovunque, e vanno a bucare organi vitali e aggrapparsi a ossa e succhiare liquidi e produrne altri, lentissimi e spessi e ritornanti. I Radiohead sono una faccenda che con la musica c’entra e non c’entra proprio perchè c’entra in modo totale, assoluto. Nel punto più profondo di. Nel punto più fuori da. Oltre. E dunque chiudersi in una stanza e non ascoltare altro rischia di diventare quello che uno ha sempre cercato di provare succhiando note. Pare pazzesco, lo so, ora, pensare che io non sapevo nemmeno chi fossero, i Radiohead. Non sapevo le loro facce, non sapevo le loro chitarre, e la voce di Thom Yorke, sì, riuscivo anche a vivere senza averla mai sentita, riuscivo a respirare senza quei suoni avvolgenti, esasperati, lunghi; senza quelle nevrastenie dilatate, quegli universi di cellophane dove t’intrappolano; quelle bolle sospese dentro cui cadi e finisci per rotolare all’infinito, senza tregua né fondo. Un corto circuito dello spazio e del tempo. Un corto circuito. Dello spazio. E del tempo.

http://capecchi.myblog.it/media/02/00/1698433281.mp3
 

 (Radiohead, Sail to the moon (Brush the cobwebs of the sky), in Hail to the thief. Musica del corto circuito)

Solo i Radioheadultima modifica: 2008-10-21T00:17:00+02:00da capecchi
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5 pensieri su “Solo i Radiohead

  1. you and whose army?

    I Radiohead. Che profilo da musicisti, che braccia da musicisti! … 🙂
    Li seguo dagli inizi. Li amo da sempre.
    Han portato un passo più-in-là, la musica.

    Fino all’ultimo In-Rainbows. Compatto, maturo.
    Con arrangiamenti curati, stacchi, “impasti” perfetti.
    E sezioni ritmiche ricercatissime.

    ..ne parali anche sul blog… ; )

    Stefano

  2. Gaia, ti leggo come si legge un critico serio, come si ascolta un musicista col diploma del conservatorio e così via. Se avessi provato a spiegarmi quello che hai scritto non ci sarei riuscita una vita. Che trip.

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