Ancora a Londra

Londra stavolta era piena di fiori e di freddo e d’elefanti. Orangerie.JPGDi sciarpe di lana avvoltolate addosso ma inutili, piccole. Di stanchezza la sera, di fagotti nel letto e servizio in camera. Di bisogno di tempi larghi; e pieni. Si usciva la mattina infilandoci da Eat, una luce calda e il croccare morbido della pasta del croissant sotto i denti. Poi la ruota, i dinosauri grossi, i menu con pasta al pomodoro e i palloncini attaccati al passeggino. La città m’è sembrata meno mia e la cosa m’ha un po’ ferita; ma comunque andava bene perché piuttosto invece era un posto dove ci trovavamo a ridere, arrabbiarci, commuoverci, spazientirci. C’era, la città, ma stava lì più distante rispetto a quando me ne andavo da sola per ristoranti e caffè, tavolini su cui scrivere e passi veloci. Ricordavo superfici nette, angoli, vetri e l’amplificarsi tangibile d’ogni sensazione. Sono invece scivolata addosso a rotondità, sfumature e mollezze da dopopranzo. Era tutto più un enorme parco giochi, un magico ottovolante, una fiera di paese che andava esplorata per scoprire dov’erano i burattini o la banda che suonava. I tamburi o le fate. Tutto, sempre, si trovava. Del resto i giardini si aprivano misteriosi e bellissimi mentre il glicine pendeva dalle nuvole come in un libro della Hodgson Burnett. Poteva capitare di svoltare l’angolo e trovare un segreto, un’altalena, un pavone; oppure un nuovo museo dove dormire, un divanetto caldo su cui svegliarsi e fare merenda con la torta al cioccolato di Peyton and Byrne – che sarebbe come a dire prenditi un pezzo di paradiso e mangiatelo a morsi.

 

 

Somerset house.jpgIl vento tagliava le facce e le mani, spazzava nuvole gonfie e mutevoli, non permetteva di sdraiarsi sull’erba o pranzare sui tavolini che guardano il lago; ma rendeva il cielo d’una bellezza sfolgorante, sfacciata: tutto quel muoversi di bianco e grigio sopra l’azzurro, il verde, il magenta, il rosa. E sotto i cani e i bambini della scuola in uniforme e le mamme in ballerine e la gente che correva, magliette corte e gambe nude, livide. I ragazzini biondi di trent’anni bevevano i loro caffè Costa dietro il vapore del bicchiere di cartone ben stretto fra le mani e le bambine vecchie col velo sulla testa si lanciavano giù dagli scivoli e dalle carrucole, gridando di gioia. C’era sempre una matita nuova per colorare e piccole dita che stringevi forte, fra le tue gelate, e un altro voglio le patatine da accontentare. Il lungofiume era una sala da ballo e Covent Garden un luogo in cui perdersi e ritrovarsi, correndo dietro a misteriosi altissimi clown o alle treccine fitte di un nero in bombetta e abito rosso gessato.

Così mentre fissavo la luce della candela giù nella cripta piena di musica mi sono accorta che questa Londra non è stata la fiammata improvvisa e rapinosa della prima volta, ma una scintilla inavvertita, calda, di quelle che – di certo – finiranno per durare molto a lungo.   

Ancora a Londraultima modifica: 2010-05-17T17:25:00+02:00da capecchi
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2 pensieri su “Ancora a Londra

  1. Se la scintilla calda durerà a lungo… te ne accorgerai quando, da essere inavvertita, la sentirai dentro di te fiammante e crepitante come il roveto ardente inestinguibile; e con la voce (di Londra) che ti sussurra: “Io sono quel che sono…” (ma tu rimani quel che sei!)

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