Il “senso dell’animo” di Plotino

Siccome oggi è giovedì, ci sarebbe da spigolare. Invece non si spigola perché è un caldo improponibile e io non ho voglia. Ho voglia invece di riprendere in mano il Leopardi di ieri – e sfogliarlo nella prosa. Foss’anche solo perché raggela, se si leggono le paginette giuste. Dunque ecco la mia copia tutta spaginata delle Operette morali, in una vecchia edizione Garzanti con la copertina verde e arancione. Suggerisce scorci interessanti il mondo vuoto di uomini visitato dal Folletto e dallo Gnomo: “ma ora che ei son tutti spariti, la terra non sente che le manchi nulla”. Per non parlare del galantuomo così amato dalla mia cara amica Stefania che, “sputacchiato anche dalla feccia più schifosa”, “alla fine si getta rabbiosamente nel vizio, con animo di vendicarsi degli uomini, della virtù e di se stesso”. Strano come, trasvolando fra “una vita a caso” del Passeggere e le “scempiaggini” del Tristano, si finisca sempre sul solito Plotino. Alla fin fine, non c’è verso, dopo solitudine, disperazione e senso della nullità delle cose, “rifassi il gusto alla vita”. E non ci si uccide. Giusto così, anche per tenersi un po’ di compagnia l’un l’altro: “Viviamo, Porfirio mio, e confortiamoci insieme”.
Madonna che freddo che fa.