(Finte) spigolature. Di Melissa P. poi invece no, solo di M.

Scrivo sull’onda dell’impatto emotivo, dunque non sarà una spigolatura lucida né oggettiva. Cioè: non sarà affatto una spigolatura. Dopo tanto clamore, ieri ho comprato, letto e finito i 100 colpi di spazzola prima di andare a dormire di Melissa P. Non so se sia tutto finto, tutto vero, tutto metà e metà, costruito a bella posta per acchiappare il lettore babbione. Certo, io partivo prevenuta, perché il diario di una sedicenne siciliana che racconta delle sue desolate scorribande erotiche con gruppi, donne, omosessuali, transessuali e pretende che noi ci crediamo pare roba un po’ strana. Sono partita così, pronta alla stroncatura e all’irrisione. Poi, qualcosa. Qualcosa, nelle pagine di Melissa, fra un cazzo (“asta”) e l’altro, m’ha fatto pensare a lei, alla mia piccola M. La piccola dolce (altri aggettivi se non questi, abusati, non ce ne sono, vi giuro) M. che era nella mia classe, in quella terza media così malridotta e sfilacciata. Aveva quattordici anni, allora, ed era piccolina con liquidi occhi azzurri, denti già rovinati e mani che non riesco a scordare, così minuscole morbide e chiare – di bambina, come in effetti era. Però una bambina disperata, ignorante, sola; affamata di qualcosa che non sempre capivo. Dunque parlava di maschi e sesso, scriveva battute volgari sul suo diario gonfio, rubacchiava, si appartava con questo e con quello, ciondolava per la scuola con magliette inesistenti e l’ombretto celeste striato. Io provavo per lei un amore protettivo, che mi sforzavo (malamente) di nascondere ai suoi compagni. Arrivava in classe saltellando scomposta e mi ronzava intorno: “Buongiorno professoressa”. Voleva strapparmi un po’ d’affetto – come se ce ne fosse bisogno – eppure mi faceva incazzare come altri mai è stato capace, spingendomi da dentro a fuori una rabbia sorda e ringhiosa, una voglia smisurata di spaccarle la faccia, schiaffeggiarla, prenderla per le spalle e scuoterla forte, urlarle qualcosa. Se ne stava lì, nel suo banco, a fare altro da quello che si doveva, a smanettare sul cellulare, a mangiucchiare, a indirizzare risposte maleducate e strafottenti anche a me – che pure adorava. E sapevo che di lei, i ragazzini di appena dodici anni, sapevano già tutto quello che c’era da sapere, sapevo che la chiamavano con parole amene come “bocchinara” e sapevo che lei, se qualcuno le telefonava e aveva voglia, lo faceva andare a casa sua, così, per non saper dire no. Mi raccontava, seduta sulla seggiola dei custodi nel corridoio, che però quell’anno aveva un po’ smesso, che fino a quel momento non aveva ancora fatto nulla di “serio”, che aveva paura di darsi via e rovinarsi, che per questo aveva cominciato – con fatica – a negarsi. Me lo diceva in quella mattina di piombo, iniziata dicendomi che lei non trovava nessun motivo per vivere. Durante la gita, sparì dalla camera, chissà dove – frotte di studenti di scuole superiori che spuntavano dappertutto nell’albergo. La mia paura, la mia rabbia, la mia impotenza. L’aspettai fuori dalla porta, lei fragile e seria che ritornava di notte nel corridoio stretto. Le lacrime, la sua voce soffiata. I miei rassegnati: “Dov’eri?”. I suoi tristi: “No, stia tranquilla, non è successo nulla, lui non sa niente di me perché è di un’altra città, crede che sia diversa, ci tiene davvero a noi”. Le sue mani nelle mie. “Sì, sì, ha ragione, starò più attenta”. Ancora lacrime; e i suoi polsi piccolini con i braccialetti di stoffa colorata intorno. Intanto lì a fianco il suo cellulare, con il logo raffigurante un uomo e una donna che mettono in pratica non ricordo quale posizione erotica. La mia piccola M. che piangeva silenziosa e si lasciava stringere e spiegare che c’è anche altro oltre a quello che vede sempre lei – mi diceva di sì, di sì, ma chissà se ci credeva veramente.
Ecco, io non lo so se quello che c’è scritto nel diario di Melissa P. sia stato vissuto davvero o no. Non lo so; ma potrebbe. Ci sono ragazze per cui potrebbe – esattamente così come Melissa lo racconta (incongruenza più incongruenza meno – e di incongruenze ce ne sono parecchie). Certo non quelle ragazze che vivono i sedici anni sciocchi e belli che ho vissuto io. Ma per alcune potrebbe. Questo mi basta. E non ho più pensato al caso letterario, alla veridicità o meno della confessione, o a tutto quello che avevo letto in giro sul libro. Ho pensato che alla mia piccola e dolce M. poteva tranquillamente succedere, con sfumature variabili, quello che Melissa P. ha scritto. Sono arrivata alla fine del libro infelice, sgomenta. Un senso di nausea percepibile sulla punta della lingua.

[Sul libro, da leggere ciò che ha scritto Annarita Briganti il 24 luglio scorso, che è più o meno il punto di vista che avevo io inizialmente]

(Finte) spigolature. Di Melissa P. poi invece no, solo di M.ultima modifica: 2003-08-21T15:30:00+02:00da capecchi
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