Quando ascoltavo il blues

Come è possibile, mi chiedo, precipitare di dieci anni indietro in un solo spicchio di sabato sera? Succede, succede. Se in ritardo sul ritardo ti precipiti al cinema per vedere Lost in translation e non ci sono più posti e finisce che poi ti viene in mente di andare a vedere quel nuovo posto, il Blue inn cafè, stessa gestione Cantina Bentivoglio. Però: alla Cantina si suona il jazz, al Blue inn si suona il blues. E dire che ero fuggita, dalla città del blues. Fatto sta che di colpo, varcata la soglia, mi ritrovo al Risidò di Pistoia, una decina d’anni fa, insieme alla Simona, quando andavano le gonne più corte di adesso e io non avevo ancora iniziato a suonare il sassofono e pensavo che Sitting on the dock of the bay del vecchio Otis fosse il massimo che potevo aspettarmi da una serata musicale. Era quando ci andavo così spesso che alla fine conoscevo tutti, là dentro; e mi piaceva, perché non c’erano i fighetti pistoiesi ma quelli che credevo dei ruvidi musicisti o aspiranti tali – ragazzotti con gli occhiali da Blues Brothers e canzoni tutte uguali nell’armonica. Quei posti piazzati in brutti palazzoni di cemento, con interni orribili perché tanto chi li guarda: una va lì e aspetta che qualcuno suoni Sweet home Chicago o roba del genere – mentre la Simona dà relazione a individui altamente poco raccomandabili, tipo vecchi sindacalisti cenciosi che mi scambiano per una specie di pasionaria comunista da barricate solo perché porto un cappellino di lana o batteristi belli e sudati che vivono in qualche casa comune della campagna fiorentina, mangiandosi gli istrici che investono con la macchina. Insomma è un effettaccio, entrare al Blues inn e scoprire che tutto è ancora fermo a dieci anni prima. Potresti individuare fra le tipe al tavolino anche due come te e lei; e la stessa gente che di sabato sta lì ma non dovrebbe starci infatti voi snobbavate il sabato perché non era da musicisti veri – eh, che poi chissà voi due che ne sapevate. Già, il posto sembra proprio lo stesso. Ti appoggi un secondo al banco – molto più sciupata di allora eppure non sai come molto più bella – e The dock of the bay attacca per davvero, ché quasi ti vien voglia di fischiarla ma ti trattieni, per una vecchia storia di sfortuna che t’avevano raccontato. In giro, le stesse facce e gli stessi maglioni. Gli stessi musicisti che suonano. Un’aria uguale precisa identica che avresti potuto ritagliarla allora, mettertela in tasca e liberarla adesso, lì, sul palco. Per esempio l’aria di quella volta in cui volesti portare al Risidò il tuo maestro-amico di sax e lui rimase turbato a sentir suonare quella roba che trovava inascoltabile e tu capisti d’improvviso che il blues era proprio morto stecchito finito da millenni e che l’avresti lasciato per sempre, una volta girato l’angolo, senza eccessivi rimpianti. Così è stato. Fa-Fa-Fa-Fa-Fa.

Quando ascoltavo il bluesultima modifica: 2004-01-12T17:55:00+01:00da capecchi
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4 pensieri su “Quando ascoltavo il blues

  1. solo per informarti che la tua vittima preferita, oggi come oggi, ha un lettore cd che legge continuamente jazz in ciascuna stanza dell’abbaino (per godere dell’atmosfera dorata ovunque, senza sbalzi di colore). quindi un lettore col blues potrei metterlo giusto sul terrazzo. (robba)

  2. “Who killed the blues?” ..è solo evoluzione, alcune musiche crescono in fretta ad altre serve tempo per infilarsi da altre parti, sembrare, somigliare, essere. Penso alla musica come a una tavolozza di colori in cui ogni colore sfuma nell’altro, il jazz, il blues, il rhythm&blues, soul, disco, rap e gli intergeneri R&B, hiphop, bebop, triphop. Indosso musiche come abiti per le emozioni e il sarto deve essere il migliore per ogni categoria. (Ricordo la Bentivoglio, una sera, un sabato.. d’altra parte la vita cambia e a volta sembra non avere che quello, il sabato). Baci Capè! [FranCiskje]

  3. Robba, sei la mia grande soddisfazione musicale. Ah, sapere che gira del jazz nell’abbaino! Frà, l’importante è il sarto, hai ragione. Miic, la leggende metropolitana della sfiga era stata diffusa da tale Sergio, alcolico cantante blues di Pistoia. Ma non so se sia attendibile e riscontrabile dappertutto. Io, comunque, da allora non l’ho fischiata più. Si sa mai. (Gaia)

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