Grandine

Benedetta sia la chianina, il tartufo nero e Sapore di sale, che mentre sono rintanata nell’angolo più remoto dell’osteria Mangiafoco mi danno la certezza assoluta che il Paradiso esiste ed è qui, ora. È una giornata di sole e grandine improvvisa a Firenze, dopo la fila in ambasciata e un Ugo Foscolo rimirato come fosse l’amore impossibile del liceo. Quello più imprendibile, misterioso e selvaggio. Me ne vado languida e sospirosa come neanche un’Antonietta Fagnani Arese. Mi serve uno spritz. Mi serve starmene qui da sola a guardare i giapponesi che vogliono sapere come si fa a entrare in chiesa, anzi: in ciesa. Voglio starmene qui a guardare tutto il mondo che mi passa davanti. E vedere se sono tutti sbagliati come me, che vorrei sempre far felici gli altri e invece poi finisco per fare arrabbiare quelli che contano di più.

Grandina, dicevo. E pochi piaceri sono più deliziosi di starsene seduti a un tavolino di legno di fronte al portone aperto su Firenze, sull’acqua, sullo sfacelo. Finirà mai questo rovescio? Riuscirò a pagare, uscire, tornarmene a casa? O dovranno venire a salvare me e tutti gli avventori, naufraghi in Borgo Santissimi Apostoli, dispersi in un isolotto fiorentino dove cantano solo Lauzi, Mina e Luigi Tenco? Immagino salvagenti e camionette rosse e io portata fuori fra le braccia di un pompiere col cappello in testa che mi dice serio: “Stia tranquilla, tra un minuto sarà fuori di qui”.

Intanto non smette di piovere. Gli americani coi calzoncini corti si avventurano là nel mezzo; gli insopportabili francesi studiacchiano il cielo con supponenza; io medito di prendere qui la residenza: Via Del Tartufo, Città Dei Temporali Estivi, Mondo. Senza fine, tu sei un attimo senza fine. Non hai ieri, non hai domani, tutto è ormai nelle tue mani, mani grandi, mani senza fine. Mentre il cameriere gentile va avanti e indietro, provo a pensare cosa sarà di me una volta là fuori. Finché resto qui tutto è sicuro, fermo in un’immagine perfetta, immobile, gialla e viola come i colori di questo posto. Appena metterò piede in strada, forse, la vita riprenderà a fluire – acqua sporca lungo i rigagnoli dei marciapiedi. Mi sentirò preda del mondo. Ricorderò che ho un lavoro, luoghi che amo, persone che attraversano le mie giornate senza lasciare traccia e altre che non vorrei perdere, mai. Mi affretterò verso qualcosa che non so – un treno, un tabaccaio, una caduta – e penserò che quello che sono, sono. Per esempio non sopporto che la Nina se ne vada in Puglia una settimana senza di me. Ma devo smetterla di sentirmi in colpa per questo o per qualsiasi cosa. Basta. In genere, del resto, le mie rabbie sono di breve durata e fanno stare male male male soprattutto me. Mica gli altri. Le mie rabbie sono per chi le vede buffe o stupide; eppure sempre frutto di passioni grezze, arruffate, trasparenti. Un po’ come questa grandine. Che è finita.

Provo a uscire, anche se non sono del tutto pronta. La città se ne sta lì. Aspetta che io decida. Così decido: esco. Intorno sgocciola, pioviscola, grigieggia. Allungo il passo, compro un ombrello rosso, penso a niente. Spero che quando tornerò tutti mi vorranno ancora bene come prima. No: di più. È che non si sa mai cosa può succedere quando ti capita d’inciampare nella grandine. Allora bisogna stare attenti.

Grandineultima modifica: 2018-05-07T18:33:34+02:00da capecchi
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