Un mese strano

Ora che ne siamo usciti, è inutile negarlo: questo maggio è stato proprio un mese strano. Infatti ha piovuto tutto il tempo e io non ho mai smesso di portare gli anfibi; anche cinque giorni fa, che via Oberdan sembrava una qualunque strada di Nashville – musiche dai locali aperti e frammenti di un biascicato americano a spuntare dappertutto. E sicché coi miei anfibi, dentro il tepore insolito dell’autunno, mi sono chiesta se questa fosse la notte per uno di quei miracoli col giallo dei limoni che s’intravedono all’improvviso eccetera eccetera eccetera.

Di certo è stata una magnifica coda di compleanno. Mi piace festeggiarlo con quelle due, quattro, cinque persone che contano e poi continuare un poco per volta ad aggiungerne altre, fino ad arrivare ad una festa che mi sono scordata quando è cominciata e perché.

Sì, lo sapevamo che questo maggio nascondeva qualcosa. Oltre ai compleanni ci sono state infatti feste di terza media e viaggi indietro nella classe d’angolo del corso C, con la Gazza che spiegava e rideva storta e indossava grembiulini tirolesi e parrucche, cantando: “Siamo i cadet-ti-di- Gua-sco-gna!”.  In quei giorni quando non avevamo ancora quasi nulla, dentro, perché tutto dovevamo ancora metterci. Quella poca vita che ci pigiava addosso ci rendeva incoscienti, superficiali senza averne idea. Avevamo pelli lisce, sorrisi un po’ sciocchi e soprattutto immagini ideali di noi stessi, in cui credevamo in modo stolido, commovente. Avremmo scoperto solo dopo che tutto s’incrina e non c’è nulla d’ideale se non il fervore senza un preciso oggetto della giovinezza, dei sensi, dell’assenza di pentimento.

Ho ripensato a tutto questo, e a molte altre cose, perché ho visto volti d’una volta e bimbe che erano cresciute mentre io dov’ero, che facevo?  Ma va bene, mi piace essere costretta a pensare al tempo: per questo ho sempre amato i compleanni, il 31 dicembre, i saggi di pianoforte e tutte le giornate finali di qualcosa. Quando succede che la nuova te si volta indietro e guarda quella lì che c’era prima: magari non beveva e non ballava swing, portava solo gonne leggere e suonava un sassofono dorato. Ma era uguale lo stesso? O era diversissima? Questa è la sesta o settima vita che vivi o è sempre la solita, sfrangiata e srotolata all’inverosimile? Non si sa, non si sa. Ma che bello; che male. Non sai mai chi troverai dall’altra parte, se un’estranea o la tua gemella giovane, Alice cascata di là dallo specchio, che rimpicciolisce e ingrandisce a comando.

Così, diventata piccina poi grande poi piccina, in questi anni è successo che ho cambiato taglia, numero di scarpe e indirizzo; anche se a volte mi confondo e mi sembra ancora di abitare in via Borgo San Pietro, specie se di notte e presa alla sprovvista, mentre non me l’aspetto. In questi anni è successo che alcuni si son presi e sgrattugiati via dei pezzetti di me, e se li tengono in tasca, ora e per sempre: son quelli che mi hanno vista piangere, sbagliare, ridere e bere whiskey sour. Quelli che mi hanno messo addosso una coperta se mi ero addormentata su un divano. Parlato di sciocchezze mentre io pensavo alle voragini del tempo. Soprattutto quelli cui ho avuto voglia di prendere le mani, per fermare tutto almeno per un secondo, uno solo, poi basta. Io non dirò niente se non dirai nulla tu. Però quando ci staccheremo sarà invece come se ci fossimo detti tutto. Giuramelo.

Un mese stranoultima modifica: 2019-06-03T18:05:02+02:00da capecchi
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